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L’agricoltura paga un conto salato al cambiamento climatico


Il costo del cambiamento climatico è molto alto per l’agricoltura, una filiera produttiva che rappresenta circa un terzo del Pil italiano. Nessuna zona dell’Italia è stata risparmiata da eventi meteo eccezionali che hanno avuto un forte impatto sull’economia

Foto di Manfred Langpap su Pexels

L’agricoltura paga un conto salato al cambiamento climatico

Il cambiamento climatico è un fattore di stress per l’agricoltura e per l’intera filiera agroalimentare. Uno stress che ci deve preoccupare, se si pensa che questa filiera produttiva rappresenta circa un terzo del Pil italiano.

Le associazioni degli agricoltori non finiscono di fare il conto di un danno che subito ne arriva un altro. Dopo la prolungata siccità, sono arrivate le inondazioni.

Disagi confermati dagli ultimi dati diffusi dal WWF nell’ambito della campagna Our Future: un resoconto degli eventi meteorologici estremi che hanno colpito l’Italia e dell’impatto che hanno avuto sull’economia.

L’Italia e il cambiamento climatico

L’agricoltura è il settore produttivo che più soffre dell’alternarsi di piogge torrenziali, gelate tardive e siccità.

Il clima Mediterraneo, ormai da alcuni anni, è tutto un susseguirsi di eventi meteorologici estremi, sempre più ravvicinati e più violenti.

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Nel 2024, la temperatura dell’Italia supererà la soglia critica di +1,5°. Più si alza la temperatura, più aumentano i rischi: quest’anno l’Osservatorio ANBI sulle risorse idriche ha rilevato più di 7 eventi estremi al giorno.

Le ripercussioni sull’agricoltura sono evidenti, dalla siccità al Centro-Sud alle piogge violente al Nord, ed hanno un denominatore comune: la perdita dei raccolti.

Non dobbiamo nemmeno gioire di inverni miti, simili agli autunni: le piante sono “disorientate” e non riescono a seguire i ritmi naturali (crescita delle radici, crescita dei germogli, fruttificazione).

I danni all’agricoltura al Centro-Sud

In un’estate più calda della media, i dati del CNR-IBE evidenziano una situazione di “siccità severo-estrema” sul 29% della superficie agricola di 5 regioni (Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), con picchi del 69% della superficie agricola colpita in Sicilia e del 47% in Calabria e temperature anomale anche al suolo.

La siccità ha creato problemi anche per il riempimento degli invasi: il picco negativo si è toccato in Puglia, con una percentuale di riempimento del 9%.

Non va sottovalutata la cattiva gestione della risorsa idrica, che sconta perdite ingenti lungo la rete di distribuzione e una scarsissima diffusione dei sistemi di riciclo delle acque grigie in ambito urbano per i numerosi usi non potabili.

Inutile dire che l’agricoltura ha pagato un prezzo altissimo. Ad esempio, la produzione di grano duro è calata di quasi l’8% rispetto alla campagna precedente.

In Sicilia la siccità primaverile ha danneggiato il 60% della produzione di legumi, il 70% dei cereali e l’80% delle foraggere, con punte del 100%.

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In Basilicata, il clima siccitoso nella fase di ingrossamento dei frutti ha ridotto la pezzatura media dei kiwi e il volume dei raccolti è sceso del 30% rispetto allo scorso anno.

La crisi delle pere

Le pere sono diventate il simbolo del cambiamento climatico che sconvolge l’agricoltura, e in questo caso gli alberi da frutto: siccità e temperature estreme indeboliscono le piante e le rendono vulnerabili ai patogeni.

Le perdite di pere si aggirano intorno al 75%, che si traducono in circa 340 milioni di euro.

Non è che gli altri frutti se la passino meglio. In Puglia ad esempio, il caldo primaverile anomalo ha più che dimezzato il raccolto di ciliegie Ferrovia rispetto al 2023.

In crisi anche la campagna olearia 2024, compromessa da siccità e ondate di calore: si stima un calo del 23% rispetto allo scorso anno (in Sicilia addirittura si prevede un calo del 50-60%).

Cambia il clima e si spostano i vigneti

La vendemmia 2024 è in leggera ripresa (+7%) rispetto al 2023, ma i raccolti sono comunque inferiori alla media degli ultimi anni. Meglio correre ai ripari e piantare i vigneti in zone più fresche tra i 700 e i 1.000 metri di altitudine.

Il cambiamento climatica non cambia solo le rese dei raccolti, ma anche le tipologie. Al Sud, infatti, crescono le piantagioni di frutta tropicale; in cinque anni sono triplicate le coltivazioni di banane, avocado e mango che tra Puglia, Sicilia e Calabria occupano quasi 1.200 ettari.

Inoltre, il clima caldo ha anche favorito il ritorno delle coltivazioni di cotone.

Le criticità del Nord

Dalla mancanza di acqua al Sud alla troppa acqua del Nord, che ha impedito le lavorazioni in campo, ritardato le semine e diminuito le rese. La mancata raccolta del primo taglio di fieno ha avuto ripercussioni sugli allevamenti.

Inoltre, l’eccesso di acqua può danneggiare alcune colture anche in maniera irreparabile, come è il caso del mais per cui si stima un calo produttivo complessivo fra il 30% e il 35%.

Il miele è un’altra vittima eccellente del cambiamento climatico che ha portato maltempo e siccità. L’apicoltura italiana rimane in uno stato di grave crisi, molte aziende sono a rischio chiusura.

Com’è noto, il caldo eccessivo compromette lo stato di salute e la longevità delle api, attaccate anche da parassiti e specie aliene invasive, come la Vespa velutina.

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