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Green Pea: il mall della sostenibilità non è sostenibile


Rivoluzione nel pisellone verde creato da Oscar Farinetti a Torino. Spariscono le auto elettriche al piano terra. Al loro posto lo shopping. Cambiare tutto (o quasi) per non cambiare niente. Visti i bilanci in perdita…

Di Angelo Frigerio

Green Pea: il pisellone verde di Farinetti continua a non tirare. Una visita (la quarta) e l’analisi dei bilanci dicono, anzi gridano, che il mall della sostenibilità (quattro piani, 15mila metri quadri), creato dall’Oscar nazionale in quel di Torino, non è sostenibile.

Venerdì 8 novembre, di pomeriggio, abbiamo cercato di capire se, viste le magre degli anni precedenti, fosse cambiato qualcosa. E, in effetti, un ‘riposizionamento’ c’è stato. Sino allo scorso anno si entrava da una porta laterale che dava sui parcheggi. Oggi, da prima dell’estate, quella porta è chiusa e una serie di cartelli ci invitano ad andare dove c’era prima l’autosalone. Diciamo ‘c’era’ in quanto al suo posto è stato ‘trasportato’ quello che era il secondo piano, ovvero vestiti e accessori (ecologici naturalmente!) ma anche cosmetici, mondo bimbe e bimbi, libri (fra cui una grande offerta di testi usati a cinque euro), cancelleria e lavanderia. Un’autentica rivoluzione!

Ma dove sono finite le auto elettriche (ma non tutte) che facevano bella mostra di sé? “Le abbiamo vendute tutte”, racconta una commessa. “Per fortuna. Così abbiamo spostato il piano qui e questa sezione l’abbiamo chiamato Shopping. Così Green Pea non sembra più un concessionario d’auto”. Vero, ma adesso il mall della sostenibilità sembra un grande negozio d’abbigliamento, molto costoso a dire il vero. Ma allora che fine ha fatto il secondo piano? Tutto chiuso da grandi e pesanti tende verdi. “Servirà per gli eventi”, chiosa un’altra commessa. Mah, vedremo.

Ritorniamo al primo piano. E qui non è cambiato nulla: accessori per la casa, arredamento, design e progettazione. Mi piacerebbe sapere chi viene qui a comprare mobili, visti anche i prezzi. Non certo alla portata di tutti. Anche perché, al momento della nostra visita, non c’era anima viva.

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Il terzo piano è invece quello più ‘movimentato’, si fa per dire. C’è un bar, il Green Pea Cafè, con una serie di tavolini a disposizione della clientela come area di studio e lavoro, il centro congressi e la libreria dell’usato. Qualche avventore, un gruppo di sei persone: non certo una folla da stadio. Qui c’è il ristorante Casa Vicina, con prezzi ‘stellati’: antipasti e primi da 33 euro, secondi da 47, la costata di Fassona a 100 (ma per due persone). I dolci invece a ‘soli’ 25 euro. “Ricette semplici, della tradizione piemontese a cui i Vicina (la famiglia dello chef, ndr), da ben oltre 120 anni, danno nuova vita con un tocco moderno. All’assaggio i sapori unici e autentici riportano all’infanzia e alle calde atmosfere familiari”, recita il sito.

All’ultimo piano, nel rooftop (nome che fa figo) troviamo l’Otium con ristorante, cocktail bar, piscina panoramica e la spa. C’è una festa di laurea. Facciamo gli auguri alla neolaureata e ritorniamo mestamente sotto. Il cambiamento non ci ha convinto. Come per Fico, tutti i tentativi di modificare, in un modo o nell’altro, l’idea originale hanno di fatto snaturato il luogo. Soprattutto si fa fatica a comprendere l’anima verde del posto.

Ma non sarà che la scelta di Torino, come di Bologna per Fico, non è stata azzeccata? “Ho scelto Torino”, dichiarava Oscar Farinetti in occasione della conferenza stampa di apertura di Green Pea, “perché è vicina a casa, per scaramanzia (perché qui è sempre andato tutto bene), ma soprattutto perché è una città creativa, dove sono state inventate molte cose. E siccome si tratta di un’operazione di rinascimento, voglio pensare che questo periodo non sia una scelta sfortunata, ma una serendipity”.

Un’occhiata ai bilanci non lascia scampo. Alla faccia della serendipity (fare per caso incontri inattesi e sorprendenti), le perdite di Green Pea si sono accumulate nel corso degli anni. Trovate un riassunto nella tabella sotto, dove emerge con chiarezza che Green Pea non è mai stata in utile. Dal 2019, anno della sua fondazione, a oggi ha perso 442mila euro. Sul fronte dei ricavi il 2023 è andato peggio dell’anno precedente, con una diminuzione del fatturato dell’8%, che si assesta a quota 6.414mila. Il margine operativo lordo è invece cresciuto: da un meno 188mila euro a un più 146mila euro. Il risultato operativo degli ultimi due anni è però negativo: si passa dai 374mila euro del 2022 ai 45mila euro dello scorso anno. Insomma, a distanza di cinque anni dalla sua apertura, Green Pea non decolla. Anzi si ammoscia. Riuscirà Farinetti a trovare un altro fondo d’investimento, come Investindustrial di Andrea Bonomi per Eataly, in grado di riportare in attivo il suo pisello verde?








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