NEW YORK. Giorno 1 del Trump II: inaugurare il “programma di deportazioni di massa di immigrati” senza regolare permesso di soggiorno. È questo il provvedimento di urgenza che il 47 presidente degli Stati Uniti è pronto a varare nel momento stesso in cui avverrà il suo insediamento alla Casa Bianca, previsto il 20 gennaio 2025. Una promessa fatta in campagna elettorale, e a cui Donald Trump vuole dare seguito immediato attraverso la firma di decreti esecutivi chiave, primo fra tutti la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale al fine di usare i fondi del Pentagono per fermare “l’invasione” dei migranti, come lo stesso tycoon ha ribadito sul suo social Truth. Questo significa anche mobilitare i militari della Guardai nazionale (e non solo) per dare attuazione al suo piano.
“Non badare a spese”
Si stima che in territorio Usa vivano almeno 11,7 milioni (gli ultimi dati disponibili sono relativi al luglio 2023) di immigrati non regolari, gran parte dei quali impiegati nei settori dell’agricoltura, del petrolio e del gas, dell’edilizia, dell’assistenza sanitaria e dei servizi. Il piano, secondo gli esperti, potrebbe costare da 150 a 350 miliardi di dollari, inoltre l’American Immigration Council ha stimato che fino a 4 milioni di famiglie miste, in cui alcuni membri sono clandestini e altri sono cittadini statunitensi, potrebbero essere separate. Sul primo punto il presidente eletto ha replicato dicendo di «non badare a spese», sul secondo si è espresso invece Tom Homan, lo “zar di frontiera” di recente nomina, secondo cui sarà fatto in modo che non avvengano separazioni tra i membri degli stessi nuclei. Così come, ha affermato, che la priorità sarà data alla deportazione degli immigrati clandestini considerati minacce alla sicurezza nazionale o pubblica. Oltre a suggerire che le retate sul posto di lavoro, una pratica interrotta dall’amministrazione di Joe Biden, potrebbero essere ripristinate.
I nodi del piano di Trump
Uno dei principali ostacoli alla vasta operazione è la mancanza di strutture adeguate, dato che l’Immigration and Customs Enforcement (Ice), l’agenzia federale che si occupa della sicurezza delle frontiere, non ha gli spazi necessari a contenere un alto numero di individui. Inoltre, Washington dovrà fare i conti col fatto che c’è un arretrato di quasi quattro milioni di casi pendenti in attesa di giusto processo per la carenza di giudici. La squadra di Trump sta già studiando una serie di iniziative come l’espansione dei centri di detenzione, la costruzione di strutture in aree metropolitane, ma anche la messa a punto di ordini esecutivi che prevedono la detenzione obbligatoria e il divieto di rilascio dei migranti, così come l’accelerazione degli iter giudiziari. Altro tassello strategico è l’applicazione del programma “remain in Mexico”, che obbliga i migranti a restare in Messico durante le procedure di accoglienza in Usa, attraverso incentivi in favore del Paese confinante.
Le collaborazioni e i precedenti
È previsto inoltre un lavoro a stretto contatto con Panama per fermare il flusso di migranti attraverso il Darien Gap, la regione posta al confine tra Panama e la Colombia, un piano che richiede l’adesione dei partner regionali da incassare con stimoli e leve negoziali già individuate. Il Texas sarà la testa di ponte: la commissaria per le terre dello Stato a maggioranza repubblicana, Dawn Buckingham, ha inviato a Trump una lettera offrendo alla sua amministrazione più di 550 ettari di terreni appena acquisiti dalla sua agenzia per costruire le strutture necessarie a dare attuazione al piano.
Il progetto di Trump non è tuttavia orfano di precedenti nella storia degli Usa. L’operazione Wetback, attuata dal presidente Eisenhower nel 1954, che si basava sui timori del senatore repubblicano Pat McCarran, secondo cui ci sarebbero state spie comuniste tra gli immigrati messicani, portò al rimpatrio di circa un milione di stranieri. Prima ancora, la Mexican Repatriation, varata durante la Grande depressione a causa della crisi economica in Usa, portò al rimpatrio di un numero di messicani compreso tra i trecento mila a quasi due milioni (tra il 40% e 60% cittadini Usa, in gran parte bambini).
Questa volta, rispetto al passato, ci sarà però la dura opposizione degli Stati a maggioranza democratica, i cui procuratori generali stanno preparando una serie di azioni legali per impedire le deportazioni. Pronti financo a citare in giudizio lo stesso Trump per l’uso improprio dei militari sul suolo nazionale, il tentativo di requisire le forze dell’ordine locali o statali per fare il lavoro del governo federale e negare il diritto costituzionale delle persone al giusto processo.
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