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Atene-Sparta, bipolarismo e conflitto globale: la Grecia nel nostro presente


Un tempo si diffidava, negli studi storici, dal ricorso a categorie estranee all’epoca trattata. Oggi si vede meglio il vantaggio che l’anacronismo può portare all’analisi, oltre che alla comunicazione: già il gesto stesso dello storico che «trova» i fatti implica una attitudine anacronistica, se risponde a una domanda del presente. Per questo convince la rilettura della storia greca del quinto secolo a.C. proposta da Cinzia Bearzot in La Grecia del V secolo Dal bipolarismo di Atene e Sparta al conflitto globale (Carocci editore «Studi Superiori», pp. 240, euro 23,00).

Usare il linguaggio della geopolitica attuale non significa accantonare la riflessione sulle fonti antiche. Il rigore dell’approccio già impronta l’affermato manuale di storia greca uscito qualche anno fa (il Mulino, 2005, 2015³): a supporto del lettore, poi, c’è anche un’attenta sintesi di storiografia antica.

A Tucidide si ispira dichiaratamente il concetto di ‘bipolarismo’, l’idea di spiegare la storia greca di quel periodo con la dialettica tra i blocchi ateniese e spartano, retti da sistemi politici, istituzionali, militari, economici e sociali radicalmente differenti. L’equilibrio che si creò dopo le guerre persiane divenne sempre più instabile, con episodi da «guerra fredda» e ripetute frizioni, fino allo scontro decisivo iniziato nel 431 a.C.

Né vi erano solo Atene e Sparta: costante è il richiamo alle «terze forze» (un concetto caro alla maestra di Cinzia Bearzot, Marta Sordi), e all’ampio contesto geografico coinvolto. Per conferire ‘ordine’ a eventi altrimenti irrelati sono giustamente richiamati l’Asia Minore (con l’impero persiano), i Balcani meridionali. l’area dell’Egeo, lo Ionio, la Sicilia. Spazio è dato, in una prospettiva di informazione e riflessione, alle prassi istituzionali: compreso un quadro della democrazia ateniese, di cui si sottolinea la dimensione «reale», pur non tacendo le critiche già antiche.

Ogni ripensamento storico della guerra del Peloponneso è un giudizio sulla politica di Atene: Cinzia Bearzot ne sottolinea il ruolo di potenza imperiale («città tiranna», già per gli antichi) e insieme la «necessità» di tale scelta (p. 103): tema delineato già da Tucidide nel dialogo tra i delegati ateniesi e gli abitanti di Melos.

Guerra «mondiale», dunque, quella del Peloponneso, e guerra «totale», perché da condurre fino all’eliminazione di una controparte.

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Il libro ne fornisce un resoconto preciso, non pedante, compresi snodi bellici fondamentali come la spedizione ateniese in Sicilia (415 a.C.), la successiva guerra in Egeo, dove al logoramento ateniese contribuì l’aiuto persiano a Sparta. Effetti diversamente rovinosi ebbe anche la progressiva crisi politica di Atene, retta da una classe dirigente che degenerò perché mossa da «ambizioni personali e sete di guadagno» (Tucidide, 2.65).

Figure diversamente ambigue come Teramene o Alcibiade (cui l’autrice ha dedicato studi specifici: vedi «Alias-D», 18 luglio 2021) sono qui osservate più da presso di Pericle. Le loro scelte politiche marcarono la fase finale della grande vicenda politica di Atene, finalmente travolta in guerra da gravi errori strategici.

Contro Atene sconfitta si scatenò l’odio, da parte di Corinto e altre città greche, che ne chiesero con forza la distruzione, bloccata dal rifiuto spartano. Privata di difese e di armi, retta inizialmente da un governo filospartano (i Trenta tiranni), Atene però sopravvisse: le incertezze o gli errori della politica spartana consentirono un efficace recupero in pochi anni (tanto che il quarto secolo fu, secondo taluni moderni, il vero momento alto della democrazia ateniese). Privo di compiacimenti classicistici verso il «miracolo greco», il libro lumeggia il quinto secolo come snodo fondamentale, verso il quale costantemente ritorna il pensiero degli storici, sia nelle epoche serene, sia in quelle di crisi.

Gli anacronismi nel testo sono quindi il segno di un approccio non erudito al passato, interpellato dalle domande (e le ansie) del presente. Utile il confronto con un saggio scritto un secolo fa dallo storico franco-svizzero Waldemar Deonna (1880-1959). In L’éternel présent. Guerre du Péloponnèse (431-404) et guerre mondiale (1914-1918), nella «Revue des Études Grecques» del 1922, egli leggeva in esplicito parallelo i due grandi sconvolgimenti: per la natura di guerra totale, l’imponenza di alleanze unite da caratteri etnici e politici, l’impossibile neutralità, il ruolo del controllo marino, e perfino la presenza di una pandemia.

Acuta è l’idea che «les Athéniens sont les ‘boches’ de leur époque», per il carattere oppressivo del loro imperialismo, piegabile solo distruggendo il dominio marittimo donde giungevano le risorse vitali. Gli spartani ‘liberatori’ della Grecia mirarono a sostituirsi all’egemonia ateniese, ma ciò condusse la Grecia dopo mezzo secolo alla condizione di periferico soggetto della potente Macedonia: simile rischio Deonna vedeva anche per l’Europa dopo la Grande guerra europea: la crisi che in modi diversi prostrava vincitori e vinti avrebbe forse dato decisivo ruolo agli U.S.A., finanziatori della vittoria («comme jadis la Perse»).

Avrebbe poi condotto il continente minacciato dall’anarchia sotto «un dominateur, un nouveau Napoléon, un nouveau Philippe, qui la régénérera ou la réorganisera et saura la plier à ses fins?». La risposta è nota. Si comprende la suggestione di simili analogie, che vanno oltre gli schemi teorici.

Ragione aveva dunque Tucidide (2.22) a ritenere «utile» quell’indagine storica che insegni a «scrutare il preciso decorso delle vicende passate e quindi di quelle che in futuro saranno simili o tali, secondo la dimensione delle vicende umane».



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