“Con lo sciopero dobbiamo aprire una iniziativa che parli al Governo, che parli ai nuovi assetti della Regione, ma che parli anche con il governo della città, perché non è credibile che i più alti livelli istituzionali si possano fare carico di una situazione complicata, senza che il primo livello di responsabilità del territorio in cui siamo, se ne faccia portavoce. Bisogna provare a parlarci almeno, e non per empatia o meno verso le forze politiche che governano la
città: Berco e Rexnord hanno dimostrato che soluzioni alternative alle chiusure si possono trovare se il territorio tutto insieme si compatta a valorizzare e difendere il lavoro”.
È l’appello che lancia l’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori del Polo Chimico di Ferrara, a una settimana dallo sciopero generale nazionale proclamato da Cgil e Uil per la giornata di venerdì 29 novembre, che spiega come sia la Filctem che la Uiltec dell’Emilia Romagna abbiano deciso di coniugare e caratterizzare uno sciopero su queste questioni industriali con lo sciopero già programmato da Cgil e Uil per contrastare la manovra finanziaria del governo perché poco attenta alle evoluzioni industriali che stanno impoverendo i territori oltre che per gli altri aspetti non condivisibili, a partire dalle insufficienti risorse per scuola e sanità pubblica e dai contratti per un segmenti di lavoro pubblico con recupero di inflazione del 6% a fronte del 17% di inflazione corrispondente”.
Secondo l’assemblea, sono tre i fatti che “impongono” un’iniziativa ai lavoratori del Petrolchimico.
Il primo è il piano industriale di Versalis, come – a tal proposito – viene illustrato: “La società dell’Eni, fin dall’esaurimento dell’esperienza Enimont dell’inizio degli anni ’90, ha ereditato buona parte del patrimonio industriale della chimica presente in italia. Dentro ci stavano eccellenze ma anche segmenti di attività con forti criticità. Ne sono seguiti pertanto decenni di dismissione, cessione di attività e numerosi piani di riorganizzazione, i cui effetti hanno ristretto fortemente la base occupazionale dell’azienda e hanno favorito in taluni casi, inserimenti e sviluppo per altri ambiti aziendali (come Nylco a Ferrara nel ’99, oggi Taropol). C’era tra le altre aree di attività anche il settore della chimica di base, quel pezzo che fornisce gli elementi per la trasformazione dei primi derivati del petrolio in prodotti intermedi necessari alle filiere manufatturiere conosciute come biomedicale, automotive, packaging , alimentare, tessile”.
“Ma la mancanza – aggiungono – di opportuni aggiornamenti tecnologici degli impianti, unita a una ridotta integrazione tra produttori e utilizzatori di Propilene/Etilene, hanno indebolito un parco tecnologico poco in grado di
competere con uno scenario di investimenti strutturali, che in tre decenni ha profondamente cambiato la collocazione geografica dei principali Player globali. L’ultima puntata di questo ridimensionamento strutturale è la comunicazione di un mese fa di Versalis, con la annunciata decisione di chiudere gli ultimi due cracking – Brindisi e Priolo -, attualmente fornitori delle materie prime (propilene, etilene, butene, butadiene, benzene) per chiunque in Italia produce gomme, polimeri e stirenici”.
Il secondo fatto è la decisione di LyondellBasell di cedere cinque siti in Europa: “Nonostante una situazione di bilancio molto diversa da Versalis, LyondellBasell, nei mesi scorsi ha messo in vendita cinque siti presenti in Europa con
l’obiettivo di estromettere dal perimetro aziendale impianti che marginano meno di altri. Tale operazione esalterebbe il saldo positivo in termini di emissioni che ne deriverebbe per la società, esattamente come rivendica l’amministrazione Versalis chiudendo i due cracking e “garantendo a parole” che non mancheranno i monomeri per chi li vorrà acquistare. Tra questi cinque siti uno è in Italia, a Brindisi dove, dopo la cancellazione produttiva dell’impianto Spherizon nel 2023, è rimasto solo un impianto Spheripol nel deserto chimico che si prospetta per quell’area. Siamo a quaranta giorni dalla scadenza del contratto di fornitura delle materie prime tra Versalis e Basell e non si hanno notizie di come intendano reciprocamente organizzarsi per supportare le produzioni di entrambe le società. Ipotesi di riorganizzazione logistica per queste forniture (come la sostituzione di Marghera con il porto di Ravenna), sono molto affascinanti, ma hanno bisogno di tempi e investimenti oggi non dichiarati, che avrebbero senso solo se nel frattempo si garantiscono soluzioni di continuità che non spengano gli impianti utilizzatori, poiché a quel punto anche tali buoni propositi si rivelerebbero tardivi e inutili”.
Infine, il terzo fatto riguarda l’informativa alla Rsu e organizzazioni sindacali di Yara, sulle incertezze della possibile ripartenza dopo tre mesi di manutenzione, con le attività di impianto. “Un investimento importante – proseguono i membri dell’assemblea – che crea tanto lavoro, ma la cui ripresa operativa sembra essere condizionata dalle valutazioni che il gruppo sta effettuando, anche praticando tagli sulle risorse dirette, sulle attività in Europa. La possibilità di caratterizzare un sito solo per gli aspetti logistici, con importazione di ammoniaca e urea da altre aree, risulterebbe estremamente penalizzante per il lavoro diretto e indotto. Lo dimostra la capacità di creare lavoro nelle attività
manutentive di un impianto come quello di Ferrara, dove in queste settimane e fino alla fine di gennaio, sono arrivate centinaia di lavoratori metalmeccanici per realizzare i lavori di manutenzione programmata“.
“È evidente – sottolinea l’assemblea – che si concentra sull’Europa una riflessione delle multinazionali che sono in grado di operare scelte di spostamento delle loro produzioni in altre aree del mondo. Si appellano a argomenti noti da
decenni: alti costi di energia , metano, materie prime. Nonostante in Italia queste tre voci siano presidiate in buona sostanza da una unica azienda, anche partecipata dallo Stato, ci si ferma a prendere atto delle lamentele e a non porsi un minimo di ambizione provando a intervenire. Significativo è quanto avvenuto nella giornata del 21 novembre al Ministero dello sviluppo dove si è “affrontato” il tema delle emissioni fuori norma del depuratore di Priolo: si prende atto che non ci sono stati interventi e investimenti per adeguarlo a svolgere con regolarità il proprio ruolo, lasciando alla magistratura il compito di andare avanti in una situazione in cui gli unici a pagare saranno coloro che ci
lavorano: ma se da 40 anni il depuratore emette fuori norma, perché non si sono fatti investimenti per renderlo efficace? Chi deve fare tali investimenti se non le aziende che traggono profitti da quelle attività?”.
I lavoratori e le lavoratrici di piazzale Donegani ammoniscono: “Queste tendenze vanno contrastate, per rilanciare, attraverso il suo valore economico e sociale, il patrimonio europeo, il suo mercato che nonostante tutto costituisce ancora il 17% del PIL mondiale, le sue norme che guardano al futuro di sostenibilità come condizione per essere presenti nel mercato dei prodotti offerti ai cittadini e come soluzioni per la transizione. Chi racconta che sono le normative, “troppe e complicate“, a rendere non convenienti le attività produttive, in realtà sta solo reggendo il gioco alle multinazionali che intendono trasferire le loro produzioni in aree extra Ue”.
E inevitabilmente le conseguenze arriveranno anche sulle produzioni a Ferrara. “Nel maggio scorso il Governo ha sostenuto il progetto di revamping delle acque di Ifm: non sarebbe opportuno oggi affrontare anche queste criticità, per non rischiare di neutralizzare anche le aspettative che dietro quel investimento si sono prefigurate? Di fronte a ciò si può fare finta di nulla? Si può fare finta che il 29 novembre ci sia “solo” uno sciopero contro la manovra finanziaria del Governo?” conclude l’assemblea.
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