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i giovani di Napoli dal rifugio del posto fisso alla fabbrica del futuro


C’è un fenomeno decisivo che rischia di passare sotto silenzio e riguarda Napoli in prima battuta, ma va oltre perché contiene i germi del secondo miracolo economico italiano possibile. I giovani napoletani non hanno più il pallino del rifugio nell’impiego pubblico o nel posto fisso, fate voi, ma sognano di fare gli imprenditori del futuro, si mettono in proprio e scommettono sulle scienze informatiche, sull’intelligenza artificiale, sulla farmaceutica di qualità.

Sta succedendo a San Giovanni a Teduccio come a Scampia. Sono i luoghi del domani che vinceranno su quelli del degrado di un passato ignobile di spaccio e morte che purtroppo sopravvive, anche se in misura minore. Succederà a Caivano perché si sono fatte le scelte giuste, ma in realtà sta già accadendo un po’ ovunque nella città e in tutta l’area metropolitana. È qualcosa che assomiglia a ciò che avvenne nel Dopoguerra in molte regioni del Nord e del Centro dove l’operaio usciva dalla fabbrica e metteva su la sua fabbrichetta. Furono loro insieme con le grandi aziende e le grandi università a trasformare un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata poi in una potenza economica mondiale.

Questa volta, in un mondo dove vincono le conoscenze, sono i laureati in scienze informatiche, gli ingegneri dell’automazione, elettronici, gestionali a scommettere sulle loro competenze e a investire sull’intelligenza artificiale come sulle nuove frontiere dell’industria farmaceutica. Giovanni Fiengo, per fare un esempio, è un ricercatore universitario che si è laureato in ingegneria dell’automazione a Napoli, ha fatto ricerca per quasi tre anni in America, ma è tornato a casa con un contratto all’Università del Sannio. Soprattutto, è colui che ha fondato con amici e giovani partenopei a San Giovanni a Teduccio, periferia Est di Napoli, la Kineton, che significa oggi più di cinquecento informatici e ingegneri, età media trent’anni, quasi tutti reclutati dalle università campane, sedi italiane e all’estero, primati nella progettazione del software e nell’intelligenza artificiale.

Qui c’è il mare che deve recuperare la piena balneabilità come a Portici e a Castellammare perché la ricerca si fa dove ci sono gli spazi e si vive bene. Qui c’è il futuro. Così è se vi pare, direbbe Pirandello, che vuol dire che così è anche se non vi pare.

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D’altro canto, non può essere un caso che Napoli è la terza città italiana per numero di start up innovative, Salerno è l’ottava, Benevento la seconda in rapporto alla popolazione. Non può essere un caso che la Campania è la seconda regione italiana tra quelle in cui i giovani mettono su un’impresa che fabbrica futuro, facendo ricerca e misurandosi sui mercati dei prodotti dell’innovazione. Non può essere un caso che la Campania ha avuto la maggiore crescita di export manifatturiero dal post Covid a oggi tra tutti i territori del G7. Il motore giovanile napoletano, campano e, in genere, meridionale, unito ai primati multinazionali e locali nascosti da un racconto colpevolmente omissivo della sua realtà di sviluppo sbilanciato, è oggi la base concreta su cui costruire un processo, ovviamente complicato ma finalmente possibile, di nuovo boom economico che parte dal nuovo Sud.

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Questo fenomeno, ignorato o quanto meno sottovalutato dal dibattito pubblico nazionale, è cruciale in un contesto geopolitico che vede cambiare ogni giorno di più i suoi equilibri tra i Sud e i Nord del mondo. Dentro due grandi conflitti regionali sempre più allargati e intrecciati tra di loro con una guerra mondiale delle parole già in atto e insidie reali per un vero conflitto globale nel quale, però, continuiamo a non credere. Chi legge Il Mattino sa che dal primo giorno della mia direzione ho parlato di cambio di paradigma perché, dopo i carri armati di Putin in Ucraina che hanno mandato in recessione la Germania e spezzato i fili dell’asse dominante Est-Ovest, il Mezzogiorno italiano e la sua capitale, che è Napoli, non sono più periferia ma centro del nuovo mondo.

Abbiamo documentato che da cinque anni in qua i tassi di crescita del prodotto interno lordo, delle esportazioni e degli occupati del Mezzogiorno, sono sempre superiori alla media nazionale che è quella del Paese europeo che ha avuto la maggiore crescita di Pil tra i Grandi dal post Covid a oggi. Sono due percorsi virtuosi che viaggiano in parallelo e fanno l’itinerario inverso di quello del quarto di secolo precedente dove l’Italia è stata sempre il fanalino di coda europeo e il Sud il fanalino del fanalino.

Napoli capitale della cultura d’impresa per il 2025 è il suggello di un fenomeno che ha alle sue spalle un cammino già percorso – nell’industria come nelle università, nella cultura, nel turismo e nei servizi – che deve, però, ora guadagnare in organizzazione e in capacità di fare sistema. A quel punto, il fenomeno potrà aumentare il suo tasso di diffusione contagiosa e determinerà il passaggio dalla rassegnazione all’imitazione positiva. Diventerà il secondo motore del nuovo boom economico perché ha i grandi spazi fisici e mentali dove fare correre le teste e le gambe del futuro.





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