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Turismo di massa, l’ex sindaca di Barcellona Colau: “Così abbiamo imposto le regole a Airbnb. Servono limiti o le nostre città si svuoteranno”


Cresciuta in un quartiere popolare e nata politicamente insieme ai movimenti per la casa di Barcellona, Ada Colau ha amministrato la sua città dal 2015 al 2023 e oggi con Barcelona en comú è un punto di riferimento per chi vuole regolamentare le locazioni turistiche e contrastare gli eccessi del sovraffollamento turistico.

“Questa globalizzazione del turismo di massa va gestita a livello pubblico e nell’interesse generale – racconta al Fatto a margine della sua partecipazione al Social Forum dell’Abitare di Genova – Visto che le grandi piattaforme non intendevano responsabilizzarsi sull’impatto che le locazioni turistiche avevano sul centro storico, in questi anni abbiamo individuato 6.000 locazioni irregolari, multato per un milione di euro Airbnb e fatto rete con altre grandi mete turistiche a livello europeo per regolare un mercato che rischiava di svuotare i centri storici aumentando i canoni d’affitto a causa del dilagare delle locazioni brevi”.

Insieme a Parigi, Londra, Amsterdam e altre città, Barcellona ha stabilito criteri che variano a seconda della densità abitativa: “Visto che questo mercato non è in grado di auto-regolarsi, abbiamo deciso di tutelare i piccoli proprietari che affittano a canoni moderati, facendoci garanti per gli inquilini in caso di morosità incolpevole. In questo modo abbiamo ridotto gli sfratti e, inserendo il diritto di prelazione del Comune per ogni vendita, abbiamo potuto aumentare il numero di appartamenti sociali a gestione pubblica, che nel 2015 erano pochissimi”.

Eppure abitare in centro, come in altre grandi città europee, resta proibitivo per chi non ha redditi decisamente sopra la media: “Quello della speculazione dei fondi immobiliari e delle locazioni turistiche è un processo lento da invertire, noi ci abbiamo provato inserendo un tetto agli affitti, che adesso diventerà legge a livello nazionale”.

Ma la retorica della sharing economy descrive piattaforme come Airbnb alla stregua di “ammortizzatori sociali”, che in qualche modo aiutano a integrare il reddito della classe media in tempi di precarietà e inflazione: “Si presentano come soluzione a un problema, quello dell’aumento degli affitti, di cui sono in buona parte causa. Per questo la nostra non è solo una battaglia politica e fiscale, ma anche di comunicazione: garantire la vivibilità dei centri storici è anche salvaguardia dei visitatori, perché il turismo di massa, senza limiti, consuma le città”.

L’idea di fondo è che “si può fare business con il turismo, ma non si può fuggire alle proprie responsabilità sociali e fiscali, come per troppo tempo hanno fatto queste piattaforme di intermediazione”.

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Se si pensa, ad esempio, che Airbnb Italy nega la propria responsabilità sulla presenza di annunci o recensioni false presenti sul proprio sito, rimandando alla sede americana o irlandese, si può comprendere la difficoltà per le amministrazioni locali nel contrastare fenomeni di portata internazionale: “Ci sono volute le multe e una campagna di sensibilizzazione della cittadinanza per costringere Airbnb a sedersi attorno a un tavolo insieme a noi, alla fine hanno capito l’importanza della sostenibilità sociale del loro business e adesso molti addetti ai lavori del turismo riconoscono che avevamo ragione”.

Adottare un piano regolatore analogo a quello di Barcellona e dotarsi di agenzie per l’abitare in grado di articolare un ragionamento complessivo sull’equilibrio tra abitanti e visitatori è uno degli obiettivi che si pone il Social Forum della Casa, che in questi mesi ha cercato di mettere in contatto tra loro diversi movimenti e associazioni che si muovevano in ordine sparso e mettere a fattore comune proposte di legge e normative che iniziano ad affermarsi nelle città più colpite: “Limitare il numero di licenze, garantire e tutelare i piccoli proprietari supportando chi mette a disposizione i propri appartamenti per affitti tradizionali, riordinare e governare l’edilizia pubblica”.

Certo in questi anni la presenza di Online Travel Agency (come Booking e Airbnb) hanno reso il turismo più accessibile, mentre i costi di alberghi e ostelli nelle grandi sono spesso proibitivi. Spingendo sul cosiddetto ‘turismo di qualità’ (lunghe permanenze, alta capacità di spesa), non si rischia di avallare una concezione classista, per la quale solo chi ha redditi più alti può permettersi di viaggiare? “È vero che esiste questo rischio – riconosce Ada Colau – Ma andrebbe fatto un ragionamento di fondo. Perché dovrebbe essere il cittadino a trasferirsi in periferia, e non il turista? Il diritto all’abitare è un diritto fondamentale, non si può dire altrettanto rispetto al ‘diritto’ a visitare una città alloggiando in massa nel suo centro storico. Non vogliamo creare ghetti ed espellere nelle periferie chi non può permettersi i canoni gonfiati dalla speculazione immobiliare, anche per questo abbiamo fissato per legge una percentuale minima del 30% di canoni calmierati in ogni nuova costruzione o ristrutturazione”.

Contattati dal Fatto per avere un loro punto di vista, da Airbnb arriva la nota scritta in merito ai piani di turismo sostenibile del Comune di Venezia: “I soggiorni di Airbnb non sono la causa del sovraffollamento turistico, rappresentando solo il 5% dei visitatori – premettono, per poi elencare le proprie proposte – il nuovo sistema di registrazione nazionale per gli affitti brevi in Italia (il codice CIN, ndr) garantirà piena trasparenza del settore, l’azienda effettuerà controlli e rimuoverà gli annunci irregolari. Airbnb è favorevole a regolamenti proporzionati che proteggano le famiglie che occasionalmente affittano le proprie case e diventino più severi con l’aumentare dell’intensità delle locazioni. Ad esempio, a Venezia, l’idea di fissare un limite temporaneo di 120 notti per i nuovi annunci nelle zone colpite dal sovraffollamento turistico può aiutare a bilanciare i flussi turistici, preservando al contempo il diritto degli host occasionali di integrare il reddito”.

Tra i passi avanti nel dialogo tra amministrazioni e Airbnb, la limitazione delle soluzioni per il self check-in (pratica non del tutto regolare in Italia) e raccogliere e versare l’imposta di soggiorno per conto degli host, come già fa in diverse città. Il timore maggiore, per la piattaforma, non sembrerebbe tanto essere il modello di Barcellona, quanto la linea dura di New York, che consente solo l’affitto di camere in appartamenti condivisi e obbliga gli host a essere presenti durante la permanenza degli ospiti.

Il Social Forum dell’Abitare, che dedica solo una parte del lavoro alle locazioni turistiche, sostiene che salvaguardare il diritto alla casa e alla vivibilità delle città sia anche un modo di preservare il turismo “perché se una città non è vissuta dai suoi abitanti perde la sua autenticità e smette di essere un luogo interessante da visitare”.



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