Emozioni dettate da racconti che consentono di sperare di tornare a riscoprire felicità perdute. L’incontro campobassano della missionaria amica del Papa, suor Elvira Tutolo, ha magnificato l’opera e consentito la riflessione su chi è giornalmente esposto al pericolo della propria vita. “Ho lottato con stregoni e capi tribù per ottenere il diritto alla dignità della vita di bambini, giovani e adulti. Ho lottato con la politica centrafricana, carcerieri, ignoranza e credenza per salvaguardare il futuro a ragazzi che oggi si trovano a essere, da carcerati, parrucchieri, giornalisti, stimati professionisti. Ho e continuo ad amare l’Africa sino a sentirmi svenire. La mia vita è qui da oltre quarant’anni e mai e poi mai penserei di lasciare il mio dovere di suora per una vita tranquilla. Ci ho sicuramente pensato ma il pensiero, si sa, vola e va, io sono africana e prima ancora figlia di Dio. Ho costruito villaggi e ho un sogno ancora da realizzare. Ho in progetto un villaggio culturale che è l’espressione di una rinascita della missione a me datami da mio Padre celeste e non posso venir meno. I riconoscimenti che mi sono stati attribuiti sono frutto di quanto la gente d’Africa mi ha permesso di fare. Non amo gli orfanotrofi, negazione della speranza umana. Vorrei costruire ponti e siti per aggregare, non isolare la gente dalla morte per farne carne da macelleria mentale. Ho vito bambini usare i machete, ammazzare i propri genitori in nome di riti tribali, le carceri stracolme di piccoli alla stregua di adulti. Gli orfanotrofi non possono riabilitare il pensiero di libertà. La cultura e la libertà di essere partecipi alla comunità, è la via del Signore”: parole forti condite da qualche parolaccia forbita in pura sintonia con il peccato di un’Africa senza colore e dagli occhi di un bambino che descrivono la morte del cuore. Suor Elvira è speranza ma non pietismo; è offrirsi, ma non per dovere.
Elvira Tutolo, termolese di nascita, oggi settantacinquenne, parla come una giovane dalla voce forte, irriverente ma gentile. Urla al Mondo il proprio sdegno per ciò che accade nel “terzo mondo” che non gode di rimedi da parte di chi è padrone di ricchezze atte a soddisfare l’essere umano d’oltre oceano, che dei diamanti ne fa incetta e ne guarda le sfaccettature brillanti come se queste non siano intagliate da sangue nero versato. Lo fa con rispetto e replicando la convinzione di porsi senza riverenze alcune, racconta del Papa, che nel promettere ella di andare tra la gente dai tamburi battuti con mazze atte allo spargimento di sangue, aprì nel 2015 la Porta Santa della Misericordia, unendosi alla povertà di un popolo sempre più lontano dal tempo dell’intelligenza artificiale. Ogni parola diventa un coltello che apre piaghe mai chiuse, ogni gesto significa la speranza. Il bel locale del Circolo Sannitico è inondato di sibili corroboranti. L’emozione dettata dal silenzio di tomba, svegliato da applausi scroscianti, porta al riconoscimento più sincero: quello della condivisione. Amore a prima vista? Forse sarà stato anche così ma la “Solidarietà con Gioia” emana sorriso e ferma la morte ponendola al cospetto dei vivi. La consegna del gagliardetto della Città di Campobasso, da parte dell’assessore Mimmo Maio, la presenza di tanta gente, l’incontro con il mondo della stampa grazie al presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Molise Vincenzo Cimino, con l’associativismo culturale interpretato dall’Associazione rievocativa dei Crociati e Trinitari, della politica grazie alla presenza di Mimmo Esposito e Annamaria Trivisonno, degli ex consiglieri regionali – presente Gasparino Di Lisa -, di Mario Ialenti, di tanto apprezzamento dal basso delle cariche, sono state la forza trainante di una serata che ha e lascerà il segno, almeno lo si spera. Non è mancata la musica che ha visto duettare Lino Rufo con suor Elvira. La poesia, le immagini e i doni realizzati da Maria Pia Minichetti e da “I Fornai Ricci”, donati dall’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo guidata da Remo Di Giandomenico, hanno accompagnato il dono di un abito talare giubilare, realizzato da carcerati, mentre il racconto veniva amplificato dalla giornalista Alessandra Salvatore che ha mirabilmente raccolto i racconti di Suor Elvira, ponendo lo scritto alla copertina di un libro che si anima alla lettura delle gesta de “Il bambino dagli occhi d’inchiostro”. “Gli occhi d’inchiostro muti guardano il mondo, si offuscano al dolore, si feriscono alle armi, si illuminano alla gioia, si aprono all’amore, si rinnovano alla vita”. Ode a te Elvira, ti sia dato il giusto onore per partecipare con te alla ritrovata gioia.
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