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La prescrizione di una parte dei debiti dell’imprenditore fallendo ne evita il conteggio ai fini del raggiungimento della cd “soglia”


In tema di dichiarazione di fallimento, la prescrizione opera, al pari del pagamento e della compensazione, quale vicenda sostanzialmente estintiva che rende il credito non più esigibile, di tal ché del credito prescritto non si deve tener conto ai fini del raggiungimento della soglia prevista dall’art. 1, comma 2, lett. c) (avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila) L. fall.

Ritenere che l’intervenuta prescrizione di un credito (ovviamente di importo tale da essere determinante per il superamento della soglia di cui alla lett. c) dell’art. 1 comma 2 l. fall., e sempre che, come nella vicenda in esame, sia pacifico il mancato raggiungimento delle altre due soglie) non sia fatto impeditivo della dichiarazione di fallimento e che pertanto non sia compito del giudice del procedimento ex artt. 15 e 18 l. fall. verificare, incidenter tantum, se sia o meno fondata la deduzione difensiva svolta in tal senso dal debitore, pur nella consapevolezza che quel credito (quand’anche oggetto di una domanda ex art. 93 l. fall.) non sarà ammesso al passivo, appare allora frutto di una logica in qualche misura “punitiva” dell’imprenditore fallendo, totalmente estranea allo spirito della legge di riforma.

E’ quanto ha stabilito la Corte di cassazione, Sezione 2 Civile, con l’ordinanza del 11 novembre 2024, n. 29008, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato con rinvio per nuovo esame la decisione resa dalla Corte di Appello di Napoli n. 10 del 2023.

La vicenda

La Corte d’ appello di Napoli, con la sentenza n. 10 del 2023, ha respinto il reclamo ex art. 18 l. fall. proposto da Nevio Simmaco, titolare della ditta individuale Ne.Si., avverso la sentenza del Tribunale di Nola dichiarativa del suo fallimento ad istanza della Cassa Edile della Provincia di Napoli.

La Corte d’appello, per quanto qui interessa, ha ritenuto:

i) che la prescrizione di una parte dei debiti dell’imprenditore fallendo determina solo la sopravvenuta estinzione del diritto del titolare ad agire in giudizio per il recupero ma non assume rilevanza ai fini della prova del mancato raggiungimento della soglia di fallibilità di cui all’art. 1, 2° comma, lett. c) l. fall. in quanto il credito, certo e incontestato nella sua originaria, giuridica esistenza, incide sull’accertamento delle oggettive dimensioni dell’impresa;

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ii) che nella specie, pertanto, non era necessario verificare se, secondo quanto dedotto dal reclamante, si fossero eventualmente prescritti parte dei crediti (per euro 157.709,39) vantati nei suoi confronti dall’ADER, atteso che tale importo doveva essere comunque computato nell’ammontare complessivo dei debiti ai fini dell’accertamento della ricorrenza o meno del relativo requisito dimensionale;

iii) che pertanto, sommando il credito di Cassa Edile a quello complessivo, pari ad € 476.876,93, risultante dall’estratto del ruolo dell’ente impositore, risultava superato l’importo di € 500.000 al di sotto del quale non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento.

La sentenza d’appello è stata impugnata da Nevio Simmaco con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui la Cassa Edile della Provincia di Napoli ha resistito con controricorso.

I motivi di ricorso

Con entrambi i motivi, il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2934 c.c. e dei principi enunciati dalla Suprema Corte in materia di prescrizione dei crediti erariali e contributivi nonché l’omesso esame di documenti decisivi (primo motivo) e violazione degli art. 1, comma 2 l.c) l. fall. e . 2034 e 2940 c.c. (secondo motivo), il ricorrente contesta che ai fini della verifica del superamento della soglia dimensionale concernente l’ammontare dei debiti del fallendo debba tenersi conto anche dei crediti ormai prescritti.

La norma applicata

Articolo 1 Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267)
Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale esclusi gli enti pubblici.
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
I limiti di cui alle lettere a), b) e c) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.

La decisione in sintesi

La Corte di cassazione, con la citata ordinanza n. 29008 del 2024, ha ritenuto i motivi fondati e ha accolto il ricorso con conseguente cassazione della decisione impugnata con rinvio per nuovo esame.

La motivazione

Ha osservato il Collegio che l’assunto della Corte del merito, secondo cui i crediti prescritti vanno comunque conteggiati ai sensi dell’art. 1, comma 2 lett. c) l fall., risulta in primo luogo in contrasto con la finalità connessa alla riforma di cui al d. lgs. n. 5/2006, che, secondo quanto può leggersi nella premessa alla relazione illustrativa, era volta, fra l’altro, ad ampliare in senso quantitativo il novero degli imprenditori esonerati dal fallimento, onde evitare l’apertura di procedure sostanzialmente inutili perché prive di attivo o con scarso passivo.

Si tratta, inoltre, di un assunto che non considera che, così come il pagamento o la compensazione, la prescrizione è fatto sostanzialmente estintivo del debito, che rende il credito non più esigibile e che ben può essere eccepito dal curatore: ritenere che l’intervenuta prescrizione di un credito (ovviamente di importo tale da essere determinante per il superamento della soglia di cui alla lett. c) dell’art. 1 comma 2 l. fall., e sempre che, come nella vicenda in esame, sia pacifico il mancato raggiungimento delle altre due soglie) non sia fatto impeditivo della dichiarazione di fallimento e che pertanto non sia compito del giudice del procedimento ex artt. 15 e 18 l. fall. verificare, incidenter tantum, se sia o meno fondata la deduzione difensiva svolta in tal senso dal debitore, pur nella consapevolezza che quel credito (quand’anche oggetto di una domanda ex art. 93 l. fall.) non sarà ammesso al passivo, appare allora frutto di una logica in qualche misura “punitiva” dell’imprenditore fallendo, totalmente estranea allo spirito della legge di riforma.

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Il giudice della c.d. istruttoria prefallimentare o del reclamo, ove l’intervenuta prescrizione del credito non costituisca fatto pacifico (perché, ad es., ammessa dal creditore) avrà il dovere di accertare la fondatezza dell’eccezione sulla base non solo delle prove acquisite, ma anche di quelle acquisibili d’ufficio (a norma dell’art. 15, 4° comma, o dell’art. 18, 10° comma, l. fall.): in un caso quale quello in esame ben potrà dunque richiedere all’ente impositore, che non è parte del giudizio, informazioni urgenti, anche in ordine all’esistenza di eventuali atti interruttivi.

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La Suprema Corte, del resto, ha già affermato che nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, l’art. 1, 2° comma l. fall., pone a carico del debitore l’onere di provare di essere esente dal fallimento, così gravandolo della dimostrazione del mancato superamento congiunto dei parametri ivi prescritti, mentre residua in capo al tribunale (e in capo al giudice del reclamo), limitatamente ai fatti dedotti dalle parti quali allegazioni difensive, un potere di indagine ufficiosa finalizzato ad evitare la pronuncia di fallimenti ingiustificati, che si esplica, tra l’altro, nell’acquisizione delle informazioni urgenti rilevanti ai fini della decisione (Corte di cassazione, n. 8965/2019, Corte di cassazione, n. 24721/2015).

Ecco il link alla decisione: Corte di cassazione, Sezione 2 Civile, ordinanza del 11 novembre 2024, n. 29008



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