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Banca Centrale europea, Francoforte deve diventare forte come la Fed




Ultim’ora news 22 novembre ore 20


«More solito» si è aperto ormai il dibattito tra governatori a mezzo stampa sulle decisioni che il Consiglio Direttivo della Bce dovrebbe adottare nella prossima riunione del 12 dicembre. Quanto ciò sia produttivo è da esaminare. Comunque, la prassi in questo senso si sta consolidando e vede diversi componenti del direttivo e qualcuno dell’esecutivo pronunciarsi sostenendo che la Bce dovrebbe decidere in questo o in quest’altro modo, fare o non fare questa o quest’altra cosa, come se fossero soggetti «terzi», osservatori o commentatori, e non membri che debbono concorrere a decidere. La «single voice» è solo un lontano ricordo.

Il problema della comunicazione

Il problema è stato frequentemente riproposto su queste colonne e rientra nel più generale tema della comunicazione che andrebbe rivista «ab imis». E non solo nella Bce, ma anche nelle Banche centrali nazionali facenti parte dell’Eurosistema, Bankitalia inclusa, che pure annovera, nel passato, un’importante tradizione in questo campo. Ma, nella previsione del 12 dicembre, viene in rilievo pure il tema del ruolo istituzionale della Bce e dei suoi poteri che negli ultimi tempi apparivano marginali. Quando si sostiene che bisognerà tagliare i tassi di riferimento di 25 o di 50 punti base, nelle motivazioni si parte dal drastico rallentamento dell’economia nell’eurozona e dal calo dell’inflazione che, secondo diversi previsori, potrebbe raggiungere il 2 per cento – il target che segnala il conseguito mantenimento della stabilità dei prezzi – già agli inizi del prossimo anno.

La tesi di Patuelli

Nella Terza Lezione Ugo La Malfa, tenuta il 21 novembre, il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, nel contesto di una «lectio» ampia e molto efficace sull’intero arco delle strutture e delle normative monetarie e di controllo a livello europeo, ha sostenuto che alla Bce, a proposito della quale ha sottolineato la doverosità del rispetto dell’indipendenza sancita dal Trattato Ue, sarebbe opportuno attribuire tutte le competenze proprie delle Banche centrali, non limitandole, dunque, al solo indispensabile contrasto dell’inflazione. È, in sostanza, la tesi che vorrebbe affiancare all’azione dell’Istituto per la stabilità monetaria quella, da mettere sullo stesso piano, per il sostegno all’economia (quindi all’occupazione) nell’area.

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Lo schema Federal Reserve

Vi sarebbe altresì da considerare pure un’integrazione con la previsione di una diretta attribuzione sul livello del cambio dell’euro. È, complessivamente, lo schema Federal Reserve. La critica che viene mossa a una tale proposta è il rischio di una politicizzazione della Banca centrale. Ma, in effetti, non sarebbe il conferimento di nuovi compiti la causa di un eventuale indebolimento dell’indipendenza, bensì l’insufficienza delle norme di tutela – tuttavia nel nostro caso vige la barriera protettiva del Trattato – e l’eventuale inadeguata indipendenza intellettuale dei dirigenti dell’Istituto, cosa che, per ora, non sembra affatto temibile. Ci si può politicizzare anche nella situazione attuale. D’altro canto, già ora si deve osservare che il sostegno all’economia non è escluso affatto dalle norme regolatrici, essendo pur previsto, ma collocato in subordine rispetto al contrasto dell’inflazione con la precisazione, però, che, raggiunta la stabilità dei prezzi, scatta l’obbligo, per l’Istituto in questione, del predetto sostegno.

Il tema dei tassi

E ora ci siamo, essendo prossimi al 2 per cento e tutti i ragionamenti e le proposte degli esponenti di vertice della Banca muovendo, come si è detto, dal preoccupante rallentamento dell’attività economica. Non è, dunque, ora una scelta discrezionale, quella di abbassare i tassi di riferimento, ma è un obbligo normativamente sancito. È singolare che finora nessun componente dell’Istituto centrale abbia mai ricordato questo dovere, pur moltiplicandosi le dichiarazioni con il risultato, spesso, di confondere e disorientare. La riforma mirante a far salire di rango il sostegno all’economia consentirebbe una maggiore flessibilità nella conduzione della politica monetaria introducendo così una formalizzazione normativa a ciò che a volte compare nelle motivazioni di misure sui tassi con quella sorta di endiadi che è l’andamento dell’economia e quello dell’inflazione. Certo, tutto ciò deve fare i conti con le posizioni dei cosiddetti «frugali». Non è affatto facile promuovere una tale revisione. È, però, anche vero che non ci si dovrebbe autolimitare «a priori» e rinunciare a una battaglia sul terreno istituzionale e culturale.

Stabilità monetaria e finanziaria

Esiste, poi, il tema del raccordo tra stabilità monetaria e stabilità finanziaria, cioè tra politica monetaria e Vigilanza bancaria e finanziaria. Lungamente si è insistito fino alla crisi dei subprime su un presunto conflitto di interesse tra le attribuzioni di Banca Centrale e quelle di Vigilanza. Poi la crisi ha fatto capire l’importanza di un raccordo, sicché i pervicaci sostenitori del conflitto si sono zittiti, almeno finora. E qui si tocca il tema anche delle possibili, auspicabili trasformazioni a seguito dell’introduzione dell’euro digitale – quando avverrà – nelle funzioni della Bce. Ricordo che nell’esperienza del governatorato di Guido Carli era stato introdotto anche l’uso di strumenti di Vigilanza ai fini della politica monetaria. Ci si deve chiedere, a questo punto, se una revisione del genere rientrerà, alla fin fine, nei compiti, quanto meno di analisi e di stimolo a procedure di consultazione, da parte della Commissione Ue che affronterà il nuovo quinquennio, anche nel quadro di una necessaria riflessione, sollecitata pure da Patuelli, sul progetto di Unione bancaria in larga parte inattuato a dieci anni di distanza dal suo varo. «Principiis obsta, sero medicina paratur», il brocardo invita a reagire subito perché la cura potrebbe essere applicata troppo tardi. (riproduzione riservata)



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