Momenti di tensione si sono verificati oggi 22 novembre intorno a mezzogiorno davanti al Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM), in via Trastevere, dove tre militanti del movimento “Bruciamo Tutto” hanno messo in scena una protesta nonviolenta.
Vernice e slogan contro il Palazzo dell’Istruzione:
Le attiviste hanno lanciato palloncini riempiti di vernice rossa, gialla e viola contro la facciata dell’edificio, lasciando vistose macchie di colore sull’ingresso principale. A interrompere l’azione i carabinieri.
Durante l’azione, una di loro ha esposto uno striscione con il nome del movimento, rendendo inequivocabile il legame con il gruppo di protesta.
Come spiegano dal movimento Bruciamo tutto: “Il ministro Valditara ha dichiarato che il patriarcato è un’ideologia e, con una retorica razzista, ha sostenuto che il numero così alto di episodi di violenza di genere è causato dalla presenza di persone migranti nel nostro Paese.
Non potevamo rimanere indifferenti davanti a queste parole, poiché sono proprio discorsi come questo che contribuiscono a invisibilizzare una violenza quotidiana e sistemica. Vogliamo, inoltre, smentire le affermazioni del ministro con un accenno a dati concreti.
Il patriarcato nella legislazione non ha avuto fine con la riforma del diritto di famiglia del 1975. Di seguito solo alcuni esempi che lo dimostrano: fino al 1981, secondo l’articolo 544 del Codice penale, se un uomo, dopo aver stuprato una donna, l’avesse sposata, il reato di stupro sarebbe stato automaticamente estinto.
Nel nostro Paese lo stupro è stato considerato un reato “contro la moralità pubblica e il buon costume” fino al 1996, quando finalmente è stato riconosciuto come reato contro la persona che lo subiva. Solo nel 2001, invece, si parla ufficializza il reato di violenza carnale all’interno delle relazioni familiari”.
Femminicidi in Italia:
“Fonti Istat del 2024 dimostrano – prosegue la nota stampa del movimento transfemminista – come la nazionalità degli autori di femminicidi sia italiana nel 93,9 % dei casi. Questo a dimostrazione del fatto che non è l’immigrazione a peggiorare il fenomeno della violenza di genere nel nostro Paese.
Inoltre, dal 2002 a oggi, sempre secondo l’Istat, il numero di omicidi è calato, ma non è calato quello dei femminicidi. Non possiamo accettare che ancora oggi, nonostante 88 femminicidi dall’inizio del 2024 e nonostante siano uomini gli autori del 92,7 % delle uccisioni di donne*, ancora non si riconosca il patriarcato come un problema sistemico e culturale.
Il fatto che sia proprio il ministro dell’istruzione e del merito a non riconoscerlo dimostra quanto sia cieco e sordo il governo davanti alla nostra sofferenza”.
Movimento transfemminista di liberazione:
Bruciamo è un movimento transfemminista di liberazione. Nasce dalla necessità di porre fine a un sistema patriarcale, che opprime, molesta, stupra e uccide le persone socializzate come donne.
“Il governo è inerme di fronte alla gravità della violenza che dilaga ogni giorno nel nostro Paese, nonostante la cronaca parli chiaro: dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, si sono susseguiti infiniti altri femminicidi e queste storie sono cadute nel silenzio.
Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg di un problema molto più grande: lo Stato, e spesso anche gran parte della società, non vogliono riconoscere il bisogno di una profonda trasformazione culturale, che dovrebbe iniziare dall’istruzione e continuare con provvedimenti legislativi per assicurare alle persone socializzate come donne (di qualunque identità di genere) il diritto a una vita libera e sicura”.
La richiesta:
Ma cosa chiedono? “La nostra richiesta riguarda un miglioramento del già esistente reddito di libertà: un contributo di euro 400 pro capite su base mensile per un massimo di 12 mesi alle donne che si trovano in situazioni violente, e che sono seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali. Questo contributo dovrebbe consentire e permettere l’autonomia e la fuoriuscita dalla violenza.
In realtà però l’iter per ottenerlo è molto lungo e burocratizzato. La nostra richiesta è di coinvolgere le survivors stesse, e psicologh? e espert? dai CAV nella formulazione di un reddito di liberazione più coerente con la realtà e i bisogni delle persone che vogliono uscire dalla spirale della violenza.
Utilizzeremo la disobbedienza civile nonviolenta per ottenere questa richiesta e per una profonda trasformazione culturale che abbatta ogni tipo di dominio sui vari livelli di intersezionalità. Non ci fermeremo nemmeno di fronte alle conseguenze legali in cui incorreremo a seguito di questa scelta”.
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