Sassari L’alta ristorazione non abita in Sardegna. Le destinazioni più sostenibili, per chi ci lavora e per chi frequenta i locali, sembrano essere quelle delle trattorie e delle osterie, in un concetto rivisitato rispetto a quella tradizionalmente intesa, oppure le pizzerie di un certo livello. Sembra essere questa l’indicazione che esce dal vorticoso giro delle guide che hanno caratterizzato l’autunno, e gli addetti ai lavori sembrano concordare.
Pregi e difetti
Una convergenza che ha pregi e difetti, come tutte le cose. Alcuni dati sono comunque evidenti, partendo dalla considerazione che le guide non sono verità assolute ma, lette tra le righe, danno una buona indicazione su quello che sta succedendo. Le stelle Michelin sono diminuite passando da sei a quattro e non per una questione di qualità, quanto perché due locali hanno chiuso; negli altri quattro, domina la stagionalità. Il Gambero Rosso, a sua volta, non ha assegnato la Tre forchette ad alcun ristorante sardo (e peraltro solo una volta era successo) però ha dato i Tre gamberi a due trattorie. In compenso crescono le segnalazioni “intermedie”, Slow Food ha aumentato le presenze sarde e le pizzerie top dell’isola ogni anno scalano posizioni. Messa così, sembra che aumentino le possibilità di trascorrere una bella giornata a tavola e, come rovescio della medaglia, la Sardegna dimostra di non essere una regione dove l’alta ristorazione può attecchire in maniera stabile principalmente per una questione economica.
Mondo che cambia
«La mia sensazione è che stia comunque finendo un mondo, al quale sono legato, sono anche demoralizzato. Ci sono chiusure stellate in Sardegna e in tutta Italia, se andate a vedere» dice Fabio Zago, insegnante all’Alberghiero di Sassari, chef formato alla scuola di Gualtiero Marchesi e a lungo docente nell’omonima Accademia milanese. «Io le stelle stagionali nemmeno le metterei in classifica, è chiaro che i tempi sono difficili soprattutto in Sardegna, la classe media è in difficoltà e il “fine dining” deve aspettare il turista. Senza il turismo i ristoranti di un certo tipo fanno fatica, lo dicono i dati nazionali: anche in piena stagione c’è stato un arretramento del 2 per cento, così è dura, forse è anche un problema culturale. L’alternativa, quando esci, è la trattoria familiare. Dove rischi di mangiare i piatti della nonna e dopo un po’ anche di annoiarti. Insomma, mi sto chiedendo tante cose e non trovo risposte valide».
Sulla stessa linea Sandro Cubeddu, titolare della pizzeria ReMi di Sassari inserita nella classifica di 50 Top World pizza: «Le guide non sono verità assolute ma ci aiutano molto dando indicazioni ai clienti, specie se turisti. La vedo come una questione economica, la ristorazione sta soffrendo la crisi e i rincari, così si cerca una proposta meno ricercata, con un buon rapporto qualità-prezzo e quindi legata al territorio. In questo l’esempio è il successo di un locale come da Vito a Sennori, i numeri non mentono. Le stelle Michelin sono per chi può investire e in Sardegna possono farlo le grandi catene, in inverno con pochi turisti non possiamo allinearci ad altre realtà. Io mi tengo a galla con una proposta che si differenzia per tipologia di prodotto, però è difficile pensare a investimenti».
Non tutto nuoce
Cristiano Andreini, chef algherese che a lungo ha tenuto la stella, la prende con più filosofia: «In Sardegna abbiamo qualche stella in meno ma a mio parere non si è mai mangiato bene come in questo periodo – dice –. Quando avevo il locale stellato eravamo forse cinque grandi ristoranti in tutta l’isola e il resto era di livello basso. Ora trovi eccellenze a 360 gradi, locali interessanti anche in posti fuori dalle solite rotte come Riola Sardo, e anche in centri turistici, per esempio Tortolì. La chiusura dei locali stellati fa scalpore ma in realtà chiudono molti più ristoranti “normali” e di scarsa qualità. Un locale con una stella è un buon ristorante con una buona cucina, il resto è fatto di particolari che fanno la differenza, se puoi permetterteli allora puoi puntarci. Una cosa da rimarcare è la grande importanza della sala, che sta superando quella della cucina, e ve lo dice un cuoco.
La formula vincente in Sardegna, attualmente è quella che per esempio ha adottato Abbamele a Mamoiada: menù degustazione a costo fisso sostenibile abbinato a una carta, in un bell’ambiente e un servizio attento». «Ricordiamoci che per anni in Sardegna abbiamo avuto solo un locale stellato ai tempi di Roberto Petza, quindi non bisogna lamentarsi troppo. «È chiaro che il mercato non è sostenibile e in questo momento la Sardegna si orienta verso le trattorie» aggiunge Domenico Sanna, enogastronomo, responsabile dell’accoglienza della cantina Su’entu.
«Non si può negare un certo fermento – aggiunge – trasmesso anche dalle guide, il momento lo vedo positivo. La Michelin non è fatta solo di stelle e i locali segnalati e premiati con altri riconoscimenti sono diversi, a prendere i Tre gamberi sonodue trattorie fuori dai circuiti a Mamoiada e Sanluri, che sono “classicamente ortodosse”. Per stare aperti tutto l’anno il segmento è questo, con un’identità fortemente legata al territorio». «La Michelin ha fatto una fotografia perfetta e forse è stata anche un pochino generosa, non vedo nemmeno altre possibili stelle; le altre guide forse hanno fatto un po’ di confusione» chiude Francesco Bruno Fadda, giornalista enogastronomico responsabile della testata Spirito autoctono e dell’omonima guida.
«L’isola non ha un bacino d’utenza adeguato e in più la Regione non lavora molto sul market enogastronomico, la ristorazione non viene vista come veicolo di destinazione turistica. Le segnalazioni comunque ci sono e servono, mostrano una certa crescita e stanno emergendo belle realtà, per esempio Sa Mandra nei ristoranti di campagna. La conclusione però è che siamo stagnanti, l’economia è quella che è, abbiamo una stagione corta non sempre sostenuta e in queste condizioni non puoi avere risultati ottimi».
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