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Alla Cop di Baku: 1 a 0 per Occidente e lobbisti. Oggi lo scontro finale


Dopo giorni da Deserto dei Tartari, in cui le posizioni degli Stati sono rimaste immutate, al vertice sul clima di Baku è finalmente arrivata una bozza di risoluzione finale. Si tratta ancora di una proposta della presidenza, su cui le parti dovranno poi concordare. Ma la lettura politica è chiara: la trattativa volge a favore del fronte occidentale e dei lobbisti del fossile.

Breve riassunto delle puntate precedenti. Cop29, il nuovo round negoziale delle Nazioni Unite sul contrasto alla crisi climatica, è la Cop della finanza. Tutto il lavoro dei diplomatici ruota attorno al New Collective Quantified Goal, i flussi finanziari che dal Nord ricco dovranno andare a pagare la transizione ecologica nel cosiddetto Sud globale.

I Paesi in via di sviluppo, riuniti nel gruppo negoziale chiamato G77, puntano a ricevere 1.300 miliardi di dollari ogni anno in finanziamenti verdi. Si tratterebbe di tredici volte il vecchio obiettivo concordato nel 2009, quando ci si accordò su 100 miliardi l’anno. Il punto non è solo il quanto, ma anche la qualità della finanza.

Nel vecchio accordo si includevano nel conteggio anche i capitali privati e quelli cosiddetti mobilitati – ovvero provenienti dalle aziende ma su input degli Stati. Persino i soldi ottenuti con prestiti a tasso di mercato erano inclusi. Nel nuovo le nazioni africane, latinoamericane ed asiatiche puntano a denaro pubblico e, soprattutto, a fondo perduto.

La posizione occidentale – Unione Europea e Stati uniti in primis – è diametralmente opposta. Molti meno soldi – un leak di Politico di pochi giorni fa parlava di 200 o 300 miliardi annui come desiderata europeo – e con dentro tutto: privato e pubblico, prestiti e donazioni, con le infinite vie di mezzo possibili.

Dopo due settimane senza veri passi avanti tra le parti, ieri la presidenza – nominata dal governo ospitante, quello azero – ha licenziato una proposta di decisione finale. Nel testo, ancora non approvato dagli Stati partecipanti alla Conferenza, si legge di 250 miliardi ogni anno da far arrivare entro il 2035. Questi soldi dovrebbero provenire «da una grande varietà di fonti: pubbliche e private, bilaterali e multilaterali». Esattamente la posizione europea.

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La cifra dei 1.300 miliardi è menzionata – anche il G20 di Rio de Janeiro, d’altronde, aveva invitato la Cop a passare ai «trillions», le migliaia di miliardi. Ma si parla solo di «un invito», non di una decisione, rivolto peraltro non agli Stati ma a generici «attori».

Solo due giorni fa un rappresentante del G77, rispondendo a un giornalista di Afp che lo interrogava sull’ipotesi di un accordo vicino ai 200 miliardi, aveva risposto seccamente con «è uno scherzo?». L’unico passaggio relativo alla finanza su cui europei e statunitensi hanno dovuto fare davvero un passo indietro riguarda la Cina: Bruxelles e Washington avrebbero voluto estendere anche a lei l’obbligo di contribuire economicamente, onere cui oggi non è sottoposta a differenza dei Paesi occidentali, il testo si limita ad un «invito».

E per quanto riguarda la diminuzione dei gas serra? A Baku è difficile ricordarlo, ma questo sarebbe l’obiettivo principale di ogni summit per il clima. Il tema è stato fin dall’inizio ai margini di Cop29: in questa bozza non solo non c’è nulla di nuovo, ma addirittura si evita di menzionare i combustibili fossili. Un passo indietro rispetto alla pur non esaltante Cop28 di Dubai.

«L’obiettivo dei 250 miliardi è totalmente inaccettabile e inadeguato» dice Ali Mohamed, diplomatico keniota che al negoziato rappresenta tutte le nazioni africane. «È tutto ridicolo» reagisce a caldo Juan Carlos Monterrey Gómez, inviato per il clima di Panama e tra i rappresentanti del blocco latinoamericano «a questo punto tutte le opzioni sono sul tavolo, compresa quella nucleare».

Tradotto, i Paesi in via di sviluppo minacciano di lasciare il negoziato. Stessa linea da parte della società civile: «I 250 miliardi sono una provocazione, fino a che vi si contano dentro tutte le fonti di finanziamento» spiega Linda Kalcher, direttrice esecutiva del think-tank Strategic Perspectives. Per Greenpeace, la cifra proposta è «oltraggiosa».

Quanto deciso a Baku rimarrà in vigore per undici anni: i paesi africani, asiatici e latinoamericani continuano a negoziare, ma hanno una notte per migliorare un testo che vale un decennio. I paesi del Nord globale e la lobby del fossile – presente in massa a Cop29 – in queste ore sono rimasti invece silenti. Per loro, d’altronde, parla già la proposta di decisione finale.



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