Quella che sta per iniziare, negli Usa, e poi a cascata nel resto del mondo, è la “partita del secolo”. Come sempre accade nel corso delle grandi svolte della storia, la transizione non sarà per nulla morbida. Per millenni è stato così. Basterebbe pensare, per guardare solo agli ultimi tre secoli, alle rivoluzioni americana e francese, all’Età napoleonica, all’avvento della rivoluzione industriale anche dietro le spinte dell’avanzamento scientifico-tecnologico, alla prima guerra mondiale, alla rivoluzione russa, alla seconda guerra mondiale. Ho accennato solo alle tappe più decisive e che hanno determinato sconvolgimenti epocali.
Fu Napoleone, con guerre devastanti, a far avanzare le conquiste civili dell’illuminismo in un’Europa ancora medievale, e il sanguinoso trionfo bolscevico spiegò al proletariato, ma anche ai capitalisti, quanto dovessero essere tenuti in conto i diritti sociali delle masse. Grandi cambiamenti, esplosioni di energie alla stregua di terribili terremoti, apertura di mondi nuovi, ma anche, purtroppo, morti, feriti, dolore, lacrime, perdenti e vincenti.
Maria Serena Natale, sul Corriere.it, in un editoriale intitolato “Pieni Poteri” ha descritto con equilibrio la situazione degli Usa dopo l’elezione plebiscitaria di Donald Trump. Per capire meglio, però, dobbiamo guardare alla storia.
Se si vuole comprendere che cosa è accaduto negli Stati Uniti, l’antica Roma ci fornisce una mirabile chiave di lettura. La repubblica romana e il suo Senato, tanto geloso delle proprie prerogative, nei momenti straordinari di maggiore difficoltà e pericolo per lo Stato nominavano un dictator (dittatore).
Il dictator era fornito del cosiddetto imperium maximum, cioè della pienezza dei poteri civili e militari, del comando assoluto, mentre in periodi di normalità i consoli erano sempre due, con diritto reciproco di veto. Nominato il dictator (dai consoli in carica, su richiesta del Senato), ogni altra magistratura, pur se dotata di imperium, era a lui sottoposta. Il suo ruolo e le sue funzioni erano così delicati che poteva restare in carica solo sei mesi. Grazie al dittatore la res publica, in caso di pericoli capitali per Roma, proprio perché forte e coesa faceva quadrato attorno a se stessa, e quindi sceglieva un’unica guida, un’unica strategia, un’unica visione, affidando senza tanti scrupoli ad un unico magistrato poteri assoluti e insindacabili anche ex post.
Lungi da me la volontà di semplificare argomenti complessi. La dottrina ci dice che il dictator era una sorta di “monarca temporaneo straordinario”, in una Repubblica che solo a sentire parlare di rex tremava e sudava freddo (ne patì qualcosa Giulio Cesare che venne assassinato proprio dai ferventi sostenitori delle libertà repubblicane).
Il dictator, che accomunando il potere dei due consoli era accompagnato da 24 littori, sceglieva un magister equitum (il comandante della cavalleria). Tra i dittatori più famosi ricordiamo Marco Furio Camillo (tra V e IV secolo avanti Cristo), scelto in concomitanza con il saccheggio di Roma operato dai Galli, e Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, durante la seconda guerra punica che alla fine del III secolo avanti Cristo vide Annibale calare in Italia e sconfiggere ripetutamente le legioni.
Insomma, se Roma correva il rischio di perire, come dopo il disastro di Canne, si preferiva far soccombere i princìpi della Repubblica e conferire tutti i poteri a uno solo. Il sistema funzionò bene, fino al punto che, finita la Repubblica, per reggere le sorti di un dominio enorme si passo alla fase imperiale, a partire dal pacificatore Ottaviano Augusto che tutto era tranne che un “buonista”.
Tra l’Impero statunitense e l’Impero romano ci sono molte similitudini, anche se i successori di Romolo furono molto più tolleranti nei confronti delle culture locali. A Roma interessavano i tributi, la fedeltà, l’aiuto con milizie in caso di guerra, e poco si interessava di templi e di cerimonie religiose al contrario dei moderni fautori della società globalista e “aperta”.
Non fu così per il Cristianesimo, apparentemente pacifista, ma in verità responsabile della più grande delle rivoluzioni: il Cristiano rispondeva a Dio e non all’Imperatore, credeva in un’altra vita e non in quella terrena. Lo capì Costantino Il Grande, ma ora andremmo troppo oltre.
Ritorniamo agli Usa e, mutatis mutandis, cerchiamo di capire che all’inizio del Terzo Millennio gli Stati Uniti sono davvero in pericolo. Il sistema economico-sociale e di potere a “stelle e strisce” è messo in discussione dalla Cina e dai suoi alleati. Una sfida peggiore di quella derivata dalla secondo conflitto mondiale in cui la guerra fredda instauratasi con l’Urss comunista ebbe notevoli effetti di stabilizzazione.
Ora il nodo è: chi comanderà nel XXII secolo? Di fronte a questa sfida immane gli Usa hanno scelto: è Trump il “dictator”, con tutte le precauzioni di democrazie ovviamente più mature. A Trump è stato conferito, dal popolo, ma anche dall’America che conta, un mandato plebiscitario, affiancandogli contestualmente la maggioranza sia al Senato sia alla Camera, nonché la leadership culturale dell’indipendente Corte Suprema.
Che cosa vogliono gli Americani da Trump? Chiedono fatti e soluzioni. Solo qualche radical chic europeo e italiano, confuso dall’eccessiva frequentazione di salottini in cui si gioca a Risiko perdendo di vista la realtà, si consuma in critiche da bar sport: quello è “scemo”, quello è “strano”, quello è “impresentabile”, quello non è “politically correct”, “noi siamo i veri bravi e il popolo non ha capito”. Il Popolo, invece, ha capito e come! E pretende scossoni tali da cambiare le cose. Ma accanto al popolo, se proprio non lo si vuol digerire, c’è anche un pezzo di economia che conta tantissimo. E in più ci sono settori pesantissimi della geopolitica mondiale che vogliono costruire equilibri avanzati.
Un’ultima considerazione. Nessuno si aspetti “rivoluzioni” senza traumi, o al ritmo di spaghetti e mandolino. Gli Americani ci sono abituati, dai tempi del Far West. Noi europei abbiamo in giro ancora troppi esponenti degni del paludato Congresso di Vienna (1815) e non ci accorgiamo che forse la nostra epoca è finita per sempre. Ascoltare Mario Draghi o perire: spero proprio che sia chiaro a tutti! Non perché Draghi sia il messia (e Nostro Signore mi perdonerà l’accostamento), ma perché in questo ruolo europeo è il più competente, il più serio, il più informato di tutti, ed è pragmatico.
Ed ora un appello: per carità di patria i tedeschi, che amiamo, si liberino presto (lo dico con rispetto istituzionale) di questo premier Scholz. Il grande cancelliere Willy Brandt, presidente dell’Internazionale socialista dal 1976 al 1992, starà lacrimando nel paradiso riformista in cui si trova. Emmanuel Macron si è ravveduto e sta virando. Il Regno Unito è rimasto ai tempi dell’Impero coloniale. Sta per cambiare tutto ed all’Europa non resta che svegliarsi!
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