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Economia circolare. La sfida è l’equilibrio tra sicurezza, comodità e performance







Alberto Piovesan. Product designer e art director di D-Air Lab, sarà giovedì prossimo al Festival del Futuro




Alberto Piovesan. Product designer e art director di D-Air Lab, sarà giovedì prossimo al Festival del Futuro



Alberto Piovesan. Product designer e art director di D-Air Lab, sarà giovedì prossimo al Festival del Futuro

Circolarità e sostenibilità affondano le radici in una componente cruciale della realizzazione di un prodotto: la sua progettazione. E la progettazione è proprio l’anima di D-Air Lab, startup innovativa nata nel 2015 con l’obiettivo di trasferire in nuove applicazioni l’esperienza e le competenze sviluppate negli airbag messi a punto da Dainese per il mondo dello sport.  È così che è nato WorkAir, il primo airbag al mondo certificato Dpi (Dispositivo di Protezione Individuale) che si attiva per cadute a partire da 1,2 metri di altezza, già impiegato per garantire la sicurezza di operai e tecnici che operano negli ambiti dell’aviazione e del navale, nel mondo dell’edilizia, dell’energia e delle comunicazioni. L’airbag FuturAge invece protegge dalle cadute gli anziani e le persone con mobilità ridotta, mentre una diversa tecnologia è stata già ingegnerizzata per offrire maggior sicurezza e comfort a chi lavora in condizioni di freddo estremo. Il concetto di sostenibilità per D-AIR Lab è declinato perciò nella sua accezione più ampia di protezione della vita e della salute delle persone che genera ricadute positive sulla collettività, come ci spiega Alberto Piovesan che di D-Air Lab è product designer e art director e che giovedì prossimo interverrà al Festival del Futuro nel panel dedicato alle sfide dell’economia circolare.

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Quali sono le principali sfide alla diffusione di prodotti sostenibili e circolari nelle imprese?

Per la mia esperienza posso dire che il principale ostacolo sta nella capacità di combinare protezione e performance del prodotto con materiali sostenibili. Per questo sperimentiamo molto, integrando tecnologie con l’obiettivo di raggiungere il pubblico più ampio possibile. Trovare un corretto equilibrio tra efficacia, performance e comodità del capo significa infatti poter generare un impatto positivo sulle persone, le aziende e anche sul sistema sanitario. Più protezione significa riduzione dei rischi per chi lavora, meno incidenti e quindi anche minori costi per le imprese e per il sistema sanitario pubblico.

Come siete riusciti ad affrontare queste problematiche?

Si tratta di una sfida che non è mai vinta, il prodotto è sempre in evoluzione. Ad esempio, nel progetto per proteggere i ricercatori che operano in Anartide a temperature che arrivano a -80 gradi siamo riusciti a utilizzare meno materiale possibile garantendo un comfort termico ottimale. Abbiamo brevettato una tecnologia che ci ha permesso di ‘immagazzinare’ aria all’interno dei capi stratificando nell’architettura dell’indumento tessuto e aria e riducendo così la quantità di imbottitura impiegata.  

Così il prodotto diventa più sostenibile. Ma riguardo alla circolarità che progressi avete fatto?

I primi airbag erano sostanzialmente monouso e dopo l’attivazione dovevano essere restituiti dalla casa madre, oggi stiamo lavorando sulla possibilità del riutilizzo implementando la sostituzione dell’inflator, la bombola di aria compressa che attiva l’air bag. Così possiamo allungare la vita prodotto.

La durabilità di un prodotto è la base della sostenibilità. Come conciliarla con necessità di fare business?

Quello che ci preme è lavorare per la protezione della persona, abbiamo il privilegio di poter operare in una logica differente da quella del consumismo e ci stiamo impegnando proprio per diffondere la cultura della protezione. Ci sono Paesi già molto avanti come il Giappone, altri come l’Italia che sono meno ricettivi. La strada per raggiungere tutte le persone in situazioni di rischio è lunga e abbiamo ampi margini di crescita.

In effetti è un approccio che può generare nuove possibilità, aprire a nuovi modelli di business. Le imprese lo hanno capito?

Noi lavoriamo molto sulla costruzione di un legame di fiducia con il cliente, ma non sono sicuro che nel contesto generale si sia adottato questo approccio. A mio avviso, tuttavia, è fondamentale: costituisce la premessa per affrontare davvero il tema della sostenibilità e della circolarità e anche per approcciare il mercato, a maggior ragione perché è questo che chiedono le nuove generazioni. Se il faro resta puntato solo sulla promozione di un brand, sul massimizzare le vendite prima ancora che sul creare un legame di fiducia con il cliente, non si può andare molto lontano.  





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