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Tutte le polemiche sui fedelissimi di Trump al governo negli USA


Donald Trump non è uno con cui ci si annoia. Lo sappiamo dall’inizio della sua avventura politica, e forse si tratta di un elemento non trascurabile del suo successo, in un’epoca in cui perfino alla politica chiediamo anzitutto di essere intrattenuti. Se in molti tra i suoi avversari e soprattutto tra i suoi elettori contavano sul fatto che la sua retorica fosse più incendiaria delle sue azioni, bé, si sbagliavano, e Trump lo ha messo in chiaro fin dalle primissime mosse. Il suo governo non sarà una lista di nomi blasonati e rassicuranti, né di grigi burocrati. Il 45° (e presto 47°) presidente degli Stati Uniti sembra determinato a plasmare una squadra che rispecchi la sua visione. Tradotto: fedeltà assoluta, massima visibilità e, perché no, qualche polemica.

Tra candidature sorprendenti e scelte che stanno dividendo l’opinione pubblica, e perfino – e in profondità – il partito repubblicano, Trump si prepara a tornare alla Casa Bianca con una strategia che mescola provocazione e calcolo politico. La parola d’ordine? Lealtà. Questa è una lettura interessante che ha dato in questi giorni il New York Times: molte delle scelte più estreme ed eccentriche di Donald Trump sarebbero anzitutto dei loyalty test, delle prove di lealtà, per i membri del suo partito. Sei abbastanza trumpiano da sostenere in pubblico posizioni imbarazzanti o addirittura eversive rispetto alla tradizione istituzionale del partito? Secondo il Times il loyalty test finora era aderire alle teorie del complotto sulle elezioni del 2020, adesso diventa sostenere candidature al governo di personaggi fuori dagli schemi, spesso molto impopolari dentro il partito stesso.

Matt Gaetz: il pretoriano di Trump alla Giustizia

Alex Wong//Getty Images

In cima alla lista c’è Matt Gaetz, un nome che fa sobbalzare i democratici (e non solo) sulla sedia. Fedelissimo di Trump, deputato della Florida e presenza quasi fissa nei talk show conservatori, Gaetz potrebbe diventare il prossimo Procuratore Generale. La sua missione? Proteggere il leader, ristrutturare il Dipartimento di Giustizia e, forse, regolare qualche conto rimasto in sospeso. Ma ci sono un paio di problemi: Gaetz non ha alcuna esperienza come pubblico ministero, un requisito informale e però importantissimo per un procuratore generale.

Soprattutto il suo curriculum è macchiato da accuse di cattiva condotta sessuale, di abuso di sostanze e da una reputazione esplosiva: è noto a tutti i retroscenisti del Campidoglio che sia un politico profondamente inviso anche a molti membri del suo stesso partito. Quella di Gaetz è considerata la più estrema tra le proposte di Trump, la prima che potrebbe essere ritirata in un tentativo di mediazione, e quella maggiormente a rischio di non essere confermata dal Senato.

Pete Hegseth: da Fox News al Pentagono

Al Pentagono potrebbe arrivare Pete Hegseth, veterano della Guardia Nazionale e volto di Fox News. La sua principale esperienza militare sembra essere quella davanti alle telecamere, ma Trump non si è mai lasciato intimidire dalla mancanza di curricula accademici impeccabili. Hegseth è il classico “uomo d’azione” che piace al presidente: assertivo, mediatico, e soprattutto privo di quelle esitazioni diplomatiche che caratterizzano i funzionari di Washington. Certo, ci sono accuse di aggressione sessuale pendenti, ma secondo la narrativa trumpiana, ogni attacco mediatico è un’ulteriore medaglia sul petto.

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Robert F. Kennedy Jr.: il ribelle della sanità

glendale, arizona august 23 former presidential candidate robert f kennedy jr r speaks as republican presidential nominee, former us president donald trump listens during a campaign rally at desert diamond arena on august 23, 2024 in glendale, arizona kennedy announced today that he was suspending his presidential campaign and supporting former president trump photo by rebecca noblegetty imagespinterest

REBECCA NOBLE//Getty Images

E poi c’è Robert F. Kennedy Jr., candidato indipendente all’inizio della campagna, poi protagonista di una svolta trumpiana che ha sconvolto il mondo progressista e la sua stessa famiglia (è il figlio di Bob Kennedy e nipote di JFK). Trump lo vuole come Segretario della Salute e dei Servizi Umani, una scelta che ha mandato in fibrillazione il mondo scientifico. Kennedy è noto per il suo scetticismo sui vaccini e per le sue battaglie contro le grandi case farmaceutiche. Il messaggio di Trump è chiaro: la salute pubblica ha bisogno di una scossa, e Kennedy potrebbe essere l’uomo giusto (e il più controverso) per darla.

Elon Musk e Vivek Ramaswamy: il governo-impresa

In uno dei suoi colpi di scena più audaci, Trump ha annunciato la creazione di un nuovo Dipartimento per l’Efficienza Governativa, guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy. Musk, icona dell’innovazione e imprenditore dal temperamento esplosivo, sarà affiancato da Ramaswamy, un astro nascente del mondo biotecnologico. Insieme, dovrebbero trasformare l’apparato governativo in una macchina snella e altamente performante, almeno secondo i piani. Ma è facile immaginare che questa combinazione di personalità forti e approcci non convenzionali potrebbe portare più scintille che efficienza.

Musk in campagna elettorale ha promesso di tagliare almeno 2 miliardi di dollari dei quasi 7 che compongono la spesa totale per l’apparato governativo, ma c’è un problema: secondo i fact-checker indipendenti un simile risparmio non sarebbe raggiungibile nemmeno licenziando tutti i dipendenti pubblici americani, dal primo all’ultimo. Insomma, ci sarà da divertirsi.

Linda McMahon, the wrestler

us president donald trump speaks at a press conference with linda mcmahon, head of small business administration, march 29, 2019 at trumps mar a lago estate in palm beach, florida photo by nicholas kamm afp photo credit should read nicholas kammafp via getty imagespinterest

NICHOLAS KAMM//Getty Images

Tra le nomine che stanno facendo più discutere c’è quella di Linda McMahon, ex CEO della WWE, che Trump vorrebbe alla guida del Dipartimento dell’Istruzione. Linda McMahon – insieme al marito Vince, volto ben più noto alle telecamere che forse avete visto in clip virali di questo tipo – è nota per aver trasformato l’industria del wrestling in un impero mediatico, ma la sua esperienza in ambito educativo è pressoché inesistente. Le sue dichiarazioni preliminari, che promettono una riforma radicale del sistema educativo, stanno già scatenando dibattiti accesi sia tra i genitori che tra gli insegnanti.

Tulsi Gabbard alla sicurezza nazionale

Un’altra sorpresa arriva con la nomina di Tulsi Gabbard come Direttrice dell’Intelligence Nazionale. Ex deputata democratica e veterana dell’esercito, Gabbard ha spesso infranto le righe del suo partito, guadagnandosi una reputazione di indipendenza e pragmatismo. Per Trump, rappresenta un simbolo di rottura con le vecchie dinamiche politiche. Per i suoi critici, un’incognita in un ruolo chiave.

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Kristi Noem e Susie Wiles: donne forti

south dakota governor kristi noem speaks before former us president and republican presidential candidate donald trump takes the stage during a buckeye values pac rally in vandalia, ohio, on march 16, 2024 photo by kamil krzaczynski afp photo by kamil krzaczynskiafp via getty imagespinterest

KAMIL KRZACZYNSKI//Getty Images

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Tra i nomi femminili nella lista spiccano Kristi Noem, governatrice del South Dakota, e Susie Wiles, veterana delle campagne repubblicane. Noem, destinata al Dipartimento della Sicurezza Interna, è nota per le sue politiche conservatrici e la gestione controversa della pandemia. Wiles, invece, sarà la prima donna capo di gabinetto, una mossa che Trump non esita a celebrare come un segnale di inclusività.

Rubio, DeSantis e gli equilibri del partito

Infine, Marco Rubio, con un passato di scontri e riavvicinamenti con Trump, è stato scelto come Segretario di Stato. Una scelta che punta a consolidare l’immagine di un governo “esperto” in politica estera, ma anche un tentativo di equilibrare le rivalità interne al partito. Nell’immediato, Rubio è noto per le sue posizioni estremiste a favore di Israele, e la sua nomina sembra preludere al definitivo semaforo verde al governo di Netanyahu per, come ha detto una volta Trump, “finire il lavoro” coi palestinesi una volta per tutte. E DeSantis? Rimane un’ombra ingombrante, fuori dalla squadra ma mai troppo lontano dai riflettori.

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