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Lecce e la Puglia, il gioco dell’oca dei Piani urbanistici


Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Basta la parola: dici Pug e si scatena la bagarre, l’un contro l’altro a rinfacciarsi colpe e il tempo che intanto passa. I numeri in Puglia sono impietosi: solo 46 Comuni su 258 hanno adottato un Piano Urbanistico Generale con il sì della Regione. Sei anni fa erano 37. Andamento lento: in sei anni appena 9 Comuni in più nonostante gli sforzi per snellire le procedure. Eppure il Pug costituisce l’atto politico più importante: cosa si vuol fare di una città, quale economia rendere sostenibile, dove attrarre investimenti. Non c’è sindaco che dica il contrario. Tutti vogliono il Pug, ma nessuno (o quasi) lo fa. Chi per impedimenti burocratici, chi per le maggioranze fragili. E a quel punto meglio disfare quello degli altri.

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Il “caso” Lecce

Prendiamo Lecce, ad esempio. L’ultima novità è la revoca da parte della giunta di Adriana Poli Bortone del Pug “firmato” dal predecessore Carlo Salvemini arrivato a un passo dall’adozione. Terzo azzeramento in 20 anni e il rischio di buttare tutto a mare. La cronologia è paradossale e la stessa Poli Bortone ne era stata la prima “vittima”: aveva approvato nel 2005 il Documento programmatico preliminare – l’atto che precede il Pug – coinvolgendo l’Università di Napoli ma senza finire il percorso.

Peccato che il successore Paolo Perrone, anche lui di centrodestra, abbia poi deciso di annullare tutto affidandosi all’Università di Genova adottando in giunta un nuovo Pug nel 2012 prima di arenarsi in Consiglio comunale alla scadenza del mandato-bis.

Niente di fatto, molti soldi spesi: 177mila euro per consulenze universitarie nel primo caso, 262mila euro nel secondo caso oltre a spese accessorie e ricorsi. Nel 2017 vince Carlo Salvemini con il centrosinistra e la musica non cambia: tutto azzerato, ufficio di staff tra le polemiche e tempi che sembrano più spediti. Nel secondo mandato il Pug passa in giunta prima dello stop alle soglie del Consiglio: presentato in pompa magna sul palco di un teatro, mai approdato in Aula. Motivo ufficiale: meglio rinviare per fare le cose per bene. Motivo non detto: meglio rinviare per evitare fibrillazioni in maggioranza con le elezioni in vista. Salvemini perde e vince Poli Bortone che, sindaco di ritorno, riazzera tutto. D’altra parte, perché doveva essere proprio lei a rompere la rassicurante tradizione? Ora ci penserà un comitato di esperti da una short list con professionisti a titolo gratuito a delinearne le linee guida prima dell’affidamento vero e proprio. Con gli Ordini professionali pronti a fare ricorso tra scontri e liti mentre la città avrebbe bisogno di certezze. Tanto c’è sempre il buon, vecchio Prg degli anni ‘70 a cui derogare secondo le necessità del momento.

A Brindisi

Non che i “cugini” pugliesi stiano meglio. Anche a Brindisi ha ben attecchito la tendenza all’azzeramento. Il sindaco Domenico Mennitti di centrodestra approvò il Dpp nel 2011 e il sindaco Riccardo Rossi di centrosinistra non ci ha pensato due volte prima di ricominciare daccapo con un nuovo Dpp nel 2023 senza, però, riuscire a “chiudere” l’iter. Ora c’è Giuseppe Marchionna per il centrodestra, ci aspettiamo un’inversione di rotta ma su questo fronte regna il silenzio. La domanda è legittima: basta un Prg del 1985 ancora in vigore a disegnare il futuro di una città che bussa alla porta di Capitale della cultura? 

A Taranto

A Taranto la partita è aperta. E dopo lunghi anni di “silenzio” il sindaco Rinando Melucci ha provato ad imprimere un’accelerazione affidando il Pug all’architetto Francesco Karrer: chiusa la prima fase del dialogo con gli stakeholders, è stato avviato il confronto in commissione anche se di nodi al pettine ce ne sono eccome a partire dallo scontro sul Comparto 32 cruciale per lo sviluppo urbanistico. Si dirà: tutta colpa dell’alternanza che, oltre ai pregi, porta con sé l’antico vizio italico delle fazioni contrapposte. In soldoni: se vinco io, cambio tutto “a prescindere”. E, invece, no perché a Bari negli ultimi 20 anni ha vinto sempre la stesse coalizione, ma il Pug non l’hanno fatto lo stesso.

A Bari

Né Michele Emiliano né Antonio Decaro, nonostante maggioranze più che stabili. E così, nonostante i buoni propositi, siamo ancora fermi al Prg dell’architetto Ludovico Quaroni che porta la data 1976. La città è cambiata, ma a spizzichi e mozzichi senza una crescita condivisa: tutta una “guerra” di volumetrie e di compensazioni tra lodevoli soluzioni e autentici disastri. Diseguaglianze urbanistiche che hanno prodotto diseguaglianze sociali. Vito Leccese, sindaco da pochi mesi, ha già approvato in giunta l’atto di indirizzo su cui incardinare iter e contenuti: primo, delicato punto di equilibrio tra consumo del suolo e tutele che dovrà, poi, superare molte prove amministrative. E qui siamo al punto dirimente. Ma il Pug lo vogliono davvero gli addetti ai lavori o è solo un impiccio per i loro pur legittimi interessi? Per costruttori, professionisti e investitori immobiliari è un’opportunità di crescita come per l’intera cittadinanza o ne farebbero volentieri a meno tra lacci e lacciuoli? Certo, la farraginosità non aiuta, ma pesa soprattutto la cultura urbanistica smarrita a favore dell’hic et nunc. Del qui e ora, del tutto e subito. Mentalità predatoria, dicono i commentatori più intransigenti. In realtà, il confine è più sottile: una diffusa logica del profitto senza scrupoli si somma alla sfiducia negli strumenti della politica e, soprattutto, alla mancanza di visione della città. L’effetto è scontato: si procede per comparti edilizi o per maxi concessioni e il Pug diventa l’arcinemico che con i suoi obblighi rischia di ingabbiare profitto e benessere. Con la classe politica alleata nel frenare, rinviare e perfino sabotare. Un cambio di paradigma culturale rispetto a quando una classe dirigente si misurava nella sua capacità di pianificare.

Il libro

“Città vince città perde” è un bel libro di Francesco Rutelli – forse il miglior sindaco dai tempi dell’elezione diretta – che ricostruisce i cambiamenti della vita urbana fra trasformazioni del clima, della mobilità e dell’abitare. La tesi è che vince la città capace di “rigenerarsi”: questa la più grande occasione di sviluppo e di lavoro. Programmare come hanno fatto finora 46 Comuni pugliesi a conferma che l’impresa non è utopistica e spesso si eccede in alibi. Come ha fatto con il nuovo Piano urbanistico in soli due anni la città di Parigi, tutt’altro che facile da gestire. È la differenza tra “tirare a campare” e pianificare. Può essere utile risalire all’indietro. A fine Ottocento quando la vita urbana cambiò radicalmente volto. Al Rinascimento quando nacque la città moderna. Al tempo dei Romani ora così tanto di moda tra scavi, Soprintendenze e gladiatori al cinema. Se il presente ha poco da insegnarci meglio studiare il passato per costruire il futuro.

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