Gli enti di previdenza e i fondi pensione «gestiscono una parte importante del risparmio italiano, che rappresenta un asset da tutelare e da sfruttare per lo sviluppo complessivo del sistema Paese». E sebbene «l’impiego delle risorse di enti e fondi nel sistema Italia sia nel complesso positivo, non si può negare l’esistenza di spazi di miglioramento». Queste le parole del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, audito a San Macuto dalla Commissione parlamentare sull’attività degli enti gestori di forme di previdenza.
Le forme pensionistiche complementari
Per quanto negli ultimi anni l’adesione a forme di previdenza private sia «risultata in costante aumento, non è ancora in linea con altri Paesi avanzati, nonostante un trattamento fiscale favorevole» ha sottolineato il numero uno del Mef.
La Covip fotografa che le forme pensionistiche complementari che attualmente operano nel sistema italiano sono 302, di cui 33 fondi pensione negoziali, 40 fondi pensione aperti, 68 piani individuali pensionistici di tipo assicurativo cosiddetti nuovi e 161 fondi pensione preesistenti. Gli iscritti raggiungono quasi quota 10 milioni, che, considerando i soggetti che aderiscono a più forme, corrispondono a 11 milioni di forme pensionistiche complementari a settembre 2024.
Sempre nei primi nove mesi del 2024, continua Giorgetti, i contributi versati da parte degli aderenti sono stati complessivamente pari a 10,5 miliardi di euro il +7,9 % sullo stesso periodo del 2023, mentre le risorse destinate alle prestazioni ammontano a 238 miliardi di euro (+6,1%). Circa i «tre quinti dell’incremento sono riconducibili all’aumento dei corsi dei titoli in portafoglio, mentre la parte residua è connessa ai flussi contributivi al netto delle uscite».
Più investimenti in Italia
Gli investimenti direttamente riferibili alle forme pensionistiche complementari ammontano, nel complesso, a 189 miliardi di euro, ma ancora troppa poca attenzione viene dedicata all’Italia.
Oltre la metà degli investimenti della previdenza complementare (56%) sono destinati all’acquisto di obbligazioni, per un totale di 105,8 miliardi di euro. Di questi, oltre 73 miliardi si riferiscono a titoli di stato, dei quali però poco meno di 27 miliardi sono italiani, che arrivano a rappresentare il 14,1% degli investimenti complessivi.
In particolare, al 2023 gli investimenti domestici delle forme pensionistiche complementari – ovvero titoli emessi da residenti in Italia, compresi quelli di stato, e immobili – ammontano complessivamente a 36,6 miliardi. Se prendiamo in considerazione il quinquennio 2019-2023, l’incidenza degli investimenti in titoli nazionali è diminuita di oltre otto punti percentuali, dal 29 per cento al 20,7 per cento, scontando in particolare la riduzione degli impieghi in titoli di stato.
Tuttavia, nell’ambito della componente domestica i titoli di stato (pari al 14%) continuano a rappresentare l’attività prevalente. Il valore degli immobili detenuti direttamente ammonta a 825 milioni (896 milioni nel 2022) mentre le quote di fondi immobiliari risultano pari a 1,7 miliardi; il residuo è costituito da partecipazioni in società immobiliari per 212 milioni.
Quanto agli enti di previdenza, gli investimenti del 2023 in titoli di debito ammontano a 24,2 miliardi (+3,8 miliardi rispetto al 2022), di cui 19,2 miliardi relativi a titoli di stato (16,8 per cento dell’attivo), mentre 5 miliardi si riferiscono ad altri titoli di debito. In particolare, i titoli di stato detenuti dagli enti previdenziali sono costituiti per il 90% da titoli di emittenti sovrani dell’area dell’euro, quattro quinti dei quali emessi dalla Repubblica italiana.
Per le forme complementari, i titoli di capitale corrispondono al 21,4% dell’attivo, ossia 40,5 miliardi (di cui solo lo 0,5 per cento in titoli non quotati). Gli investimenti degli enti previdenziali in titoli di capitale sono pari a 9,6 miliardi (l’8,4% dell’attivo in aumento di 1,8 miliardi rispetto al 2022), di cui 7,2 miliardi in strumenti quotati.
La ripartizione degli investimenti in titoli di capitale per area geografica dell’emittente mostra che il 48,3% (stabile rispetto al 2022) è riconducibile all’area dell’euro; seguono gli Stati Uniti (in crescita dal 24,3 al 26,8%) e i Paesi non aderenti all’Ocse (in riduzione dal 12,1 al 9,9%).
Gli investimenti immobiliari
Gli investimenti degli enti di previdenza nell’economia italiana ammontano a 44 miliardi, il 38,5 % delle attività totali, in aumento di 2,9 punti percentuali rispetto al 2022. Considerando le attività al netto della liquidità, delle polizze assicurative e delle «altre attività» (in larga misura crediti contributivi), l’incidenza degli investimenti domestici risulta pari al 45,4 per cento. Tra gli investimenti domestici restano prevalenti quelli immobiliari (17 miliardi di euro, pari al 14,9% delle attività) e i titoli di stato (13,8 miliardi, pari al 12,1% delle attività). Gli impieghi in altri titoli di debito e in titoli di capitale, rispettivamente pari a 843 milioni e 7,6 miliardi, corrispondono al 7,4% delle attività totali (in crescita di 0,9 punti percentuali). I titoli di capitale comprendono anche il controvalore delle quote del capitale della Banca d’Italia (1,95 miliardi di euro).
Tra i fattori alla base delle «esigue quote di titoli delle imprese italiane nei portafogli dei fondi pensione e degli enti di previdenza, un ruolo rilevante è rivestito dal riferimento a benchmark di mercato diversificati su scala internazionale, nei quali il peso assegnato all’Italia è modesto sia per via dell’esiguo numero di imprese quotate sia, più in generale, per il limitato sviluppo dei mercati del capitale di rischio e del debito privati a livello nazionale» ha spiegato Giorgetti.
Altri ostacoli nel settore
Serve una «riflessione approfondita sull’opportunità di innovare un sistema che, esclusi gli interventi connessi al recepimento di talune direttive europee, ricalca sostanzialmente quello delineato in occasione della riforma del 200», ha precisato il ministro: «con il necessario coinvolgimento delle altre amministrazioni competenti in materia (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Covip), ed instaurando l’opportuno dialogo con le rappresentanze dei lavoratori, delle parti datoriali e degli operatori di mercato, ritengo che la modernizzazione e la competitività del sistema possano essere favorite, anche traendo ispirazioni dalle migliori prassi ed esperienze internazionali, da interventi tesi a migliorare i meccanismi di adesione; incrementare la contribuzione, con modalità e tempistica coerenti con i vincoli di finanza pubblica; introdurre stimoli alla competizione e alla ricerca di soluzioni di investimento maggiormente efficienti».
In tale contesto «va considerata anche l’attuazione della legge delega di riforma fiscale, nell’ambito della quale si potrebbe valutare l’introduzione di un’imposizione sostitutiva agevolata anche per gli enti previdenziali (ad es. pari a quella prevista per i rendimenti dei fondi pensione – attualmente al 20%). Come si potrebbe inoltre valutare un intervento per trattare in maniera diversa chi investe capitali pazienti nel sistema Paese».
Senza dimenticare un’attenta valutazione degli emendamenti presentati alla legge di bilancio sulla previdenza complementare, nella consapevolezza, ha ribadito Giorgetti, che «la previdenza integrativa, secondo pilastro, è una delle azioni di politica economica cruciali». (riproduzione riservata)
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