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Ritardato il rinnovo del Porto per Tiro a volo: non c’è risarcimento del danno


Con sentenza n. 19429 del 5 novembre 2024, il Tar del Lazio (sezione Prima stralcio) ha respinto il ricorso presentato da un cittadino (guardia particolare giurata), volto a ottenere il risarcimento del danno derivante dal ritardato rinnovo del porto d’armi a uso sportivo, ben oltre il termine stabilito di 90 giorni.

Il ricorrente lamentava di aver avuto “danni patrimoniali, corrispondenti ai canoni di locazione sostenuti dal 1° settembre 2017 al 28 febbraio 2018, per non aver potuto trasferire la propria residenza da Roma a -OMISSIS-, in attesa della definizione della pratica” e “danni non patrimoniali, per il pregiudizio all’immagine derivante dal ritardato riconoscimento del porto d’armi ad uso sportivo, per le conseguenze esistenziali cagionate da tale ritardo, per il danno alla salute patito in conseguenza dell’incertezza”.

I giudici hanno valutato come infondato il ricorso, rilevando “l’evidente mancanza di uno degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, ovvero il pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale derivante dal ritardo. Questo non può, infatti, presumersi iuris tantum, in meccanica relazione al ritardo nella conclusione del procedimento, ma è l’attore a dover fornire prova, sia nell’an che nel quantum, di un danno riconducibile al comportamento inerte (Cons. Stato, sez. III, 12 febbraio 2024, n. 1353; id., sez. VII, 11 dicembre 2023, n. 10664). Il ricorrente non fornisce però alcuna credibile dimostrazione in tal senso. Infatti, quanto al danno patrimoniale, il ricorrente lo identifica nei canoni di locazione versati dal 1° settembre 2017 al febbraio 2018 per conservare la residenza nell’immobile di Roma, pur avendo egli esigenza di trasferirsi a -OMISSIS-. Tale posta economica appare però del tutto priva di diretta relazione causale con il ritardo nella definizione del procedimento. A tale proposito, il ricorrente presuppone che un eventuale trasferimento avrebbe influito sulla definizione del procedimento, costringendolo «ad iniziare d’accapo l’iter burocratico nella nuova città di residenza», ma trattasi di circostanza del tutto indimostrata e priva di fondamento normativo. In termini generali, deve ritenersi che la competenza alla definizione di un procedimento amministrativo si individui – secondo il generale principio della perpetuatio, art. 5 c.p.c. – con riferimento all’istanza e alle condizioni (di tempo e luogo) ivi rappresentate, con tendenziale irrilevanza di quanto avvenga medio tempore. Nello specifico, in ogni caso, l’art. 61 del Reg. Tulps (R.D. 6 maggio 1940, n. 635) dispone che il rilascio dei provvedimenti in materia di armi spetta al Questore o al Prefetto “della provincia in cui il richiedente, appartenente ad uno dei Paesi dell’Unione europea, ha la sua residenza o il domicilio” (art. 61 del Reg. Tulps, R.D. 6 maggio 1940, n. 635). Pertanto, la competenza alla definizione del procedimento non sarebbe mutata per effetto del trasferimento dal Comune di Roma a quello di -OMISSIS-, trovandosi entrambi nell’ambito della stessa provincia (ora città metropolitana) di Roma. Quanto al pregiudizio non patrimoniale, esso consisterebbe nel «danno all’immagine» correlato al «clima di dubbi e sospetti sulla persona dello stesso» ingeneratosi nel suo ambiente lavorativo, al «danno esistenziale,» e al «danno da ansia e da stress significativo che ha interferito con la normale routine e con le relazioni sociali del ricorrente, derivante dall’incertezza nella definizione del procedimento». Tali asseriti pregiudizi non sono risarcibili. In primo luogo, la risarcibilità del danno non patrimoniale, anche dopo l’affermarsi di una lettura “evolutiva” dell’art. 2059 c.c., è subordinata alla lesione di un diritto inviolabile della persona, costituzionalmente tutelato (Cass. civ., sez. III, ord. 29 novembre 2023, n. 33276; Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2010, n. 3397). Tale non è certamente il diritto all’uso delle armi, che per costante giurisprudenza rappresenta – in senso diametralmente opposto – un’eccezione al normale divieto di detenerle e utilizzarle, sancito a tutela dell’ordine pubblico e della tranquillità della convivenza (Cons. Stato, sez. III, 22 luglio 2024, n. 6565). I danni lamentati appaiono, inoltre, del tutto sforniti di prova. Quanto all’asserito discredito nell’ambiente lavorativo, la circostanza è meramente ipotizzata e a ben vedere irrealistica, trattandosi di procedimento estraneo alla professione del ricorrente (che ha continuato regolarmente a detenere il porto d’armi per uso professionale). Quanto al pregiudizio alla salute, il certificato prodotto riferisce di una condizione di «disturbo post-traumatico da stress» che certo non può essere scaturito dall’incertezza nella definizione del procedimento di cui trattasi. Quanto, infine, al danno esistenziale, esso non viene minimamente circostanziato, né dimostrato”.

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