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La retorica vittimista palestinese e la mancanza di autocritica


di Angelica La Rosa

LE CONTRADDIZIONI CULTURALI E SOCIALI DEI PALESTINESI

La questione palestinese, come ben sappiamo, è tra i conflitti più intricati e longevi della storia contemporanea. Al centro vi è un popolo che rivendica il diritto all’autodeterminazione, ma la strada verso questo obiettivo è ostacolata da divisioni interne, leadership inefficaci e scelte strategiche spesso controproducenti.

Nonostante le sofferenze subite, è necessaria una riflessione critica che vada oltre la retorica vittimista per esaminare le responsabilità interne che hanno contribuito a perpetuare lo status quo.

Uno degli ostacoli principali è la frammentazione politica e territoriale tra le due principali fazioni palestinesi: Fatah e Hamas. Dal 2007, anno in cui Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza dopo scontri violenti con Fatah, il popolo palestinese vive una realtà divisa. La Cisgiordania è governata dall’Autorità Palestinese (AP), dominata da Fatah, mentre Gaza è sotto il controllo di Hamas. Questa spaccatura ha indebolito la causa palestinese a livello internazionale, presentando un fronte incoerente e spesso conflittuale.

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L’Autorità Palestinese, pur godendo di un riconoscimento internazionale, è stata accusata di corruzione sistematica e inefficienza amministrativa. Molti palestinesi considerano l’AP più interessata a mantenere il potere che a rappresentare i loro interessi. D’altro canto, Hamas, che si presenta come il difensore della resistenza, ha instaurato un regime autoritario di matrice terroristica a Gaza, reprimendo il dissenso e adottando politiche che hanno aggravato le condizioni di vita già precarie.

La scelta di alcune fazioni palestinesi di ricorrere alla violenza contro Israele, giustificata da alcuni come forma di resistenza, ha avuto effetti devastanti sia sul piano pratico che morale.

Gli attacchi contro i civili israeliani, spesso indiscriminati, hanno rafforzato la descrizione internazionale che dipinge i palestinesi come aggressori, giustificando le risposte militari israeliane.

Queste azioni, oltre a causare perdite umane e distruzione, hanno eroso il sostegno internazionale e contribuito all’isolamento diplomatico. Il costo di questa strategia è stato pagato principalmente dai civili palestinesi, che subiscono le rappresaglie militari, la distruzione delle infrastrutture e l’impoverimento economico. Inoltre, la retorica bellicosa di Hamas e altre fazioni ostacola i tentativi di costruire un dialogo costruttivo con Israele e con la comunità internazionale, perpetuando un ciclo di violenza che sembra non avere fine.

La narrazione palestinese spesso evita un’analisi critica delle responsabilità interne. Questa retorica vittimista, sebbene fondata su alcune reali ingiustizie, rischia di alimentare una cultura di immobilismo e di delega delle responsabilità, rendendo più difficile una riflessione costruttiva sulle scelte politiche e sociali.

Un esempio emblematico è la gestione degli aiuti internazionali. Nonostante i miliardi di dollari ricevuti, gran parte di questi fondi è stata sprecata o dirottata per alimentare nelle ipotesi migliori la corruzione e il clientelismo, nel peggiore dei casi il terrorismo, piuttosto che per migliorare le condizioni di vita dei cittadini o sviluppare infrastrutture essenziali.

La società palestinese affronta anche sfide interne legate a tradizioni e valori che spesso ostacolano il progresso. In molti contesti l’Islam e la sua strutturale intolleranza verso le altre religioni limita lo sviluppo di una società pluralista e moderna. La condizione delle donne, ad esempio, è ancora critica, con limitazioni significative ai diritti e alle opportunità. Anche la libertà di espressione è spesso sacrificata, sia nei territori controllati da Hamas che in quelli sotto l’Autorità Palestinese.

Queste contraddizioni interne non solo frenano lo sviluppo sociale, ma riducono anche la capacità del popolo palestinese di presentarsi come una forza unita e progressista, in grado di confrontarsi con le sfide del XXI secolo.

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Per superare lo stallo attuale, è necessaria una trasformazione profonda della leadership palestinese e della società nel suo complesso. Ciò include il superamento delle divisioni interne, la lotta alla corruzione e al terrorismo, un impegno reale verso la costruzione di istituzioni democratiche e inclusive.

Un altro elemento cruciale è il ripensamento delle strategie politiche. La resistenza violenta ha dimostrato i suoi limiti; è tempo di esplorare approcci diplomatici e pacifici, che possano guadagnare il sostegno della comunità internazionale e promuovere una soluzione negoziata.

La società civile palestinese, con il suo potenziale creativo e intellettuale, deve svolgere un ruolo centrale in questo processo di rinnovamento. Investire nell’istruzione, nella partecipazione politica e nello sviluppo economico è fondamentale per costruire una base solida per il futuro.

Purtroppo, però, la causa palestinese, sebbene radicata in legittime aspirazioni di libertà e giustizia, è ostacolata da profonde contraddizioni interne.

Il popolo palestinese deve affrontare con coraggio non solo le sfide esterne, ma anche quelle interne. Solo attraverso una leadership responsabile, unita e visionaria sarà possibile costruire, al termine della rappresaglia di Israele, un futuro dignitoso e stabile.



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