Danilo Sivori, segretario regionale della UILCOM Calabria
24 novembre 2024 16:45
di RITA TULELLI
In un momento storico in cui il settore dei call center rappresenta un pilastro cruciale dell’economia calabrese ma affronta sfide sempre più complesse, abbiamo incontrato Danilo Sivori, segretario regionale della UILCOM Calabria. Con lui approfondiamo le dinamiche di un settore spesso al centro di dibattiti su precarietà lavorativa, contratti e futuro occupazionale, cercando di fare luce sulle prospettive e sulle azioni sindacali in corso. Un confronto diretto per capire cosa si sta facendo e cosa ancora serve per garantire dignità e stabilità ai lavoratori.
Qual è la situazione attuale del settore dei call center in Calabria?
“Quello dei call center è un settore che ha visto una profonda trasformazione negli ultimi 25 anni. Era visto, fino agli inizi degli anni 2000, come una occupazione precaria e senza grandi prospettive, ma, negli anni successivi, da lavoro temporaneo e, spesso, sottopagato, è diventato un’occupazione da difendere. Dal 2006 c’è stata una prima rivoluzione, a seguito di una circolare ministeriale (conosciuta come “circolare Damiano”), nata grazie ad un proficuo confronto tra parti sociali e politica, che ha avuto come effetto la trasformazione dei contratti di collaborazione (co.co.co e co.co.pro) in contratti subordinati, per tutte le attività cd. inbound (in cui il consulente telefonico riceve le chiamate). Nel periodo di massima espansione, questo settore, ha visto occupati in Calabria oltre 15.000 addetti, ma, il trend di crescita ha subito un repentino cambio di tendenza e, negli ultimi 15 anni, questo dato è diminuito costantemente. Le cause sono diverse. Hanno inciso non solo le dinamiche di mercato e l’avvento di nuove tecnologie ma, soprattutto, l’assenza di regole nella gestione degli appalti che ha portato ad una consistente delocalizzazione all’estero ed a scelte imprenditoriali rivolte ai risultati finanziari piuttosto che a sostenere e rafforzare il corebusiness”.
Quali sono le principali sfide e problematiche che i lavoratori del settore stanno affrontando nella nostra regione?
“Le problematiche sono principalmente legate alla crisi del settore che, come sempre accade, si ripercuote sui lavoratori. Il calo dei volumi di traffico, soprattutto sugli appalti delle compagnie telefoniche, ha portato molte aziende a ricorrere all’applicazione di ammortizzatori sociali. Questo comporta dei sacrifici economici notevoli per i lavoratori perché, per la maggior parte, hanno contratti di lavoro part time involontario e, pertanto, un reddito già esiguo. Inoltre resta una percentuale cospicua di contratti precari. La sfida dovrà affrontarla il sindacato che dovrà ottenere un rafforzamento delle tutele per dare serenità e prospettive a questi lavoratori”.
Quali sono le priorità della UILCOM per migliorare le condizioni di lavoro nei call center calabresi?
“Abbiamo diversi tavoli di confronto aperti con le istituzioni sia a livello nazionale, con i Ministeri, che, a livello locale, con la Regione Calabria. Abbiamo da sempre cercato un confronto costruttivo con Istituzioni e la politica per intervenire su una crisi di settore che va affrontata tempestivamente e con strumenti efficaci, indicando quali sono gli interventi utili per limitare fenomeni come delocalizzazione, dumping contrattuale ed appalti affidati al di sotto del costo del lavoro”.
Ci sono progetti specifici o interventi in corso per garantire una maggiore sicurezza e stabilità lavorativa?
“La clausola sociale (L. 11/2016) che, in caso di successione di aziende in un contratto d’appalto, dispone il passaggio dei lavoratori dall’azienda uscente a quella subentrante e le tabelle del Ministero del Lavoro sul costo del lavoro, sono stati dei passi in avanti ma, sicuramente, abbiamo bisogno ancora di ben altro. Un ulteriore intervento necessario sarebbe il riconoscimento del CCNL delle Telecomunicazioni come unico contratto di settore, perché, anche le conquiste che potrebbero apparire incontestabili ed ormai consolidate vengono messe in discussione da qualcuno. Ed è proprio quello che sta succedendo con il Contratto collettivo di settore poiché, un’associazione datoriale ed alcune aziende del settore, hanno dichiarato la volontà di non applicarlo più passando ad un altro contratto collettivo non specificato. Questo ci ha portati ad aprire un nuovo fronte di rivendicazione nel quale abbiamo coinvolto il Ministero e le principali aziende committenti, per impedire che, il proposito dichiarato, potesse concretizzarsi con ricadute negative su tutti i lavoratori del settore. Contestualmente, insieme all’Associazione di settore maggiormente rappresentativa, abbiamo accelerato sulle trattative per il rinnovo del contratto ormai scaduto nel 2023”.
Lei è anche un dipendente di un call center: come influisce questa esperienza sul suo ruolo sindacale?
“Un sindacalista, per essere tale, deve avere un requisito essenziale: essere un lavoratore. Il fatto di avere lavorato per oltre 20 anni in un’azienda di call center e di avere vissuto le trasformazioni di questo settore, mi ha consentito di apprendere, vivendole direttamente, le difficoltà, le esigenze e le aspettative di questi lavoratori”.
Quali vantaggi pensa che possa offrire questa doppia prospettiva ai lavoratori che rappresenta?
“Una parte importante dell’attività sindacale, a completamento del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, si svolge nelle trattative aziendali all’interno delle singole sedi di lavoro. Con la contrattazione di secondo livello si possono siglare accordi che prevedono, oltre a welfare e premi di risultato, anche “flessibilità positive” con cui i lavoratori possono conciliare al meglio i tempi di vita con quelli di lavoro. Per costruire questi accordi il contributo essenziale è dato dai rappresentanti sindacali aziendali, che conoscono quel luogo di lavoro ed il territorio”.
Come gestisce il sindacato il fenomeno dei contratti a termine e delle esternalizzazioni?
“I dati che ci ha fornito di recente l’Osservatorio delle politiche occupazionali dell’INPS evidenziano come la precarietà sia un fenomeno preoccupante. I contratti a termine, in somministrazione e di collaborazione, vengono troppo spesso abusati ed utilizzati impropriamente anche nei call center. Circa le esternalizzazioni, queste non sono un problema a prescindere ma, lo diventano, se i committenti ricorrono all’offshore per avvantaggiarsi del dumping contrattuale che alcuni paesi esteri offrono. Il nostro territorio ha bisogno di stabilità per poter realizzare una reale crescita economica e sociale e, come sindacato, continueremo in ogni contesto istituzionale e di relazioni industriali a rivendicare questo obiettivo”.
Cosa si può fare per contrastare il precariato e favorire la stabilità dei posti di lavoro in questo settore?
“E’ necessario creare un sistema di regole certe ed esigibili che possano penalizzare gli imprenditori scorretti che abusano o utilizzano impropriamente i contratti precari, agendo anche sugli appalti, dato che i call center sono attività prevalentemente in outsourcing. Ma è anche necessario rafforzare gli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto per le aziende virtuose, per dare risposte alle esigenze di flessibilità e rendere sostenibile la formazione sia finalizzata al reskilling che all’upskilling dei lavoratori”.
Che ruolo hanno avuto e stanno avendo i sindacati nell’adozione dello smart working nei call center?
“Nel 2020 è partita una remotizzazione emergenziale dei lavoratori per poter riprendere l’attività lavorativa durante il lockdown. Solo in quel momento si è appurato in maniera incontrovertibile che il lavoro da remoto era possibile, risolvendo un’annosa diatriba tra i datori di lavoro, da sempre contrari, ed il sindacato che lo proponeva. Si è passati così ad un utilizzo non più contingente ma strutturale di questa modalità di lavoro ed abbiamo ritenuto improcrastinabile un’adeguata regolamentazione che tenesse conto delle esigenze e delle difficoltà che incontravano i lavoratori. In Calabria siamo riusciti a siglare accordi con diverse aziende. Abbiamo stabilito criteri di rotazione che alternassero equamente il lavoro in sede ed il lavoro da remoto, il riconoscimento del “diritto alla disconnessione” (per consentire ai lavoratori di non essere costantemente raggiunti da comunicazioni operative al di fuori dei turni di lavoro) e la predisposizione di adeguate dotazioni tecnologiche per lo svolgimento. Ora l’obiettivo è di inserire un sistema di macro regole nel CCNL, da applicare in tutto il settore, lasciando la regolamentazione di dettaglio alle trattative di secondo livello”.
Come si può trovare un equilibrio tra il diritto alla flessibilità lavorativa e la tutela delle condizioni di lavoro?
“E’ possibile trovarlo nella contrattazione di secondo livello, perchè, discutendo con le singole aziende ed analizzando le esigenze produttive di uno specifico reparto si può cercare di contemperarle con le esigenze dei lavoratori tenendo conto anche del contesto sociale e territoriale. Turni di lavoro distribuiti con criteri di equità e trasparenza, visibilità dei turni per un lasso di tempo sufficiente, possibilità di scambi turno, lavoro agile, car sharing, piani ferie, permessi a recupero, sono alcuni degli strumenti che utilizziamo per questo scopo”.
Quali sono i rischi di burnout e stress tra i dipendenti dei call center e come vi state muovendo per affrontarli?
“Il tema della sicurezza è prioritario per la UIL ed anche le attività svolte in un ufficio seduti ad una scrivania non sono esenti da rischi. Nel call center si svolgono mansioni che richiedono contatto diretto con il cliente, conoscenze approfondite di procedure tecniche e campagne commerciali (che sono in continuo aggiornamento), ritmi elevati (perché il tempo è un fattore determinante sulla produttività) e, tutto questo, è necessario farlo prestando massima attenzione alla soddisfazione del cliente. Pertanto la valutazione e la gestione del rischio stress lavoro-correlato è un tema che non è possibile sottovalutare e, per intervenire efficacemente al fine di prevenire questi rischi, la formazione dei dirigenti sindacali è fondamentale”.
Avete adottato iniziative per migliorare il benessere psicofisico dei lavoratori e ridurre il carico di stress?
“Anche in questo caso le iniziative virtuose e le tutele efficaci possono essere predisposte solo calandole nello specifico contesto aziendale e con l’ausilio dei rappresentanti sindacali presenti sul luogo di lavoro. Un’organizzazione del lavoro chiara, ritmi sostenibili, distribuzione del carico di lavoro equo, conciliazione tempi vita/lavoro, ed un ambiente di lavoro adeguato sono aspetti che trattiamo quotidianamente con le aziende. Ma, quello qualifica veramente il nostro difficile compito di mediazione, è la consapevolezza di doverlo fare in maniera costruttiva e sostenibile, senza posizioni populistiche irrealizzabili, finalizzate solo ad accaparrarsi il consenso”.
Quali sono le aspettative e le richieste della UILCOM Calabria verso le istituzioni locali e nazionali?
“La ricerca del confronto con le Istituzioni ad ogni livello è stata una strada che come sindacato abbiamo da sempre seguito, cercando di portare avanti una contrattazione d’anticipo, quando ci sono state le prime avvisaglie di crisi. Perché la tempestività è fondamentale per poter avviare un processo di trasformazione che adegui il lavoro ai cambiamenti economici, tecnologici e sociali. Purtroppo le risposte che abbiamo ottenuto dalla politica e dalle Istituzioni sono state sempre deludenti. Negli ultimi mesi, però, si sta aprendo uno spiraglio. C’è stato un costante confronto iniziato con la Regione Calabria che, successivamente, ha visto coinvolto anche il MIMIT, per predisporre un progetto di riqualificazione dei lavoratori. Il progetto mira, attraverso la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, a ridare prospettiva al settore ma, questo risultato, si potrà ottenere solo se ci sarà una fattiva collaborazione con le OO.SS. per garantire compiutamente i diritti delle persone coinvolte. Per poter dire di esserci riusciti dobbiamo ancora definire aspetti fondamentali ed, il prossimo incontro fissato il 27 novembre al MIMIT, sarà cruciale”.
Secondo lei, cosa potrebbero fare i governi regionale e nazionale per sostenere in modo più efficace il settore e i suoi lavoratori?
“La concertazione sociale è imprescindibile per dare risposte ai lavoratori che, guardati in questo specifico status sociale, hanno esigenze che non sono legate ad un colore politico. Un confronto costruttivo e scevro da preconcetti tra parti sociali e politica, potrebbe essere una svolta. Noi le proposte le abbiamo, ma abbiamo bisogno che chi ci governa le ascolti e si confronti per trovare il modo di attuarle”.
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