L’industria della difesa è la vera protagonista nel 2024. L’escalation delle tensioni geopolitiche innestate dal conflitto in Ucraina e da quello in Medio Oriente, ma anche in Sudan e Myanmar, ha determinato una crescente attenzione alle tematiche della sicurezza e un incremento nelle spese per la difesa che hanno raggiunto il massimo storico a livello globale di 2.443 miliardi di dollari nel 2023 (+6,8% sul 2022), pari a 306 dollari a persona (320 euro).
Una difesa italiana partecipata da stranieri
L’industria italiana della difesa può essere rappresentata come una piramide al cui vertice si trovano i due big player Leonardo e Fincantieri (attivi anche in altri settori), entrambi a controllo statale, che agiscono come prime contractors nei segmenti più rilevanti del mercato, in termini di volume d’affari e di contenuti tecnologici. Secondo l’ultimo report pubblicato dall’area studi di Mediobanca, queste due danno un contributo rilevante in termini di ricavi aggregati (59,3%). In seconda fascia si trovano poi le società di dimensioni più contenute e specializzate spesso su singoli apparati o sottosistemi. E infine, una terza fascia di aziende, che risulta essere costituita da una galassia di piccole e medie imprese.
L’aspetto interessante è la rilevante la presenza di gruppi stranieri all’interno della italiana: 36 delle 100 aziende hanno infatti una proprietà estera che controlla il 25,1% del fatturato aggregato (di cui il 12,2% europeo e il 10,1% statunitense).
L’Ue arranca inseguendo gli Usa
Delle 40 multinazionali con fatturato individuale superiore a un miliardo di euro nel comparto difesa nel 2023, 17 hanno sede in Europa (quattro nel Regno Unito, quattro in Francia, due in Germania, Italia e Paesi Bassi, una ciascuna in Polonia, Spagna e Svezia), 16 negli Stati Uniti e sette in Medio Oriente e Asia (due in Corea del Sud e India, una ciascuna in Israele, Turchia e Taiwan). Come si poteva immaginare, lo scenario è dominicato dai gruppi statunitensi, con una quota di mercato del 68% dei ricavi aggregati nel 2023, seguiti dai player europei con il 27% e da quelli asiatici con il 5%. L’Italia, rappresentata da Leonardo e Fincantieri (le uniche due imprese di peso nel Paese) conta per il 14% del giro d’affari europeo e per il 4% di quello mondiale. Un aspetto da sottolineare è che i primi 10 player (tutti Usa) rappresentano oltre due terzi dei ricavi aggregati, cioè il 92% del totale.
Per cristallizzare meglio questa percentuale è utile osservare la differenza tra le prime cinque posizioni in classifica, che sono solo gruppi a stelle e strisce, e gli europei. Le multinazionali Usa da sole concentrano oltre la metà del giro d’affari generato dal core business difesa con: Lockheed Martin (55 mld nel 2023), RTX (36,8mld), Boeing (31 mld), Northrop Grumman (30,6mld) e General Dynamics (26,8mld).
Di contro i gruppi europei rappresentano, per dimensione media, poco più di un terzo del totale. La classifica è guidata dalla britannica BAE Systems (25,8mld), seguita da Airbus (11,8mld), Leonardo (11,5mld), Thales (10,1mld) e Rheinmetall (5,1mld), e Fincantieri (2 mld).
I problemi dell’industria della difesa Ue
L’Ue ha un problema in termini di difesa comune e questo passa anche per un consolidamento industriale e una visione sovranazionale di appartenenza che al momento non c’è. Secondo il report l’industria della difesa dell’Ue soffre di un deficit strutturale su due fronti:
- minore focalizzazione sull’innovazione e minori investimenti rispetto agli Stati Uniti (circa un terzo). Le spese dell’Unione europea in R&S per la difesa sono pari a 10,7 miliardi di euro contro 130 miliardi degli Usa. Nel quinquennio 2019-2023 la crescita del giro d’affari nella difesa dei gruppi europei risulta inferiore a quella dei player statunitensi (4,3%) e di quelli asiatici (12,2%).
- E’ troppo frammentata. Questo ne limita la portata e l’efficienza, aumenta i costi e ostacola l’interoperabilità, con il baricentro decisionale che rimane in mano ai singoli Stati membri.
Per far fronte alla competitività globale e garantire la sicurezza a livello europeo, sono necessari una maggiore integrazione fra le industrie del settore e la costituzione di poli su importanti programmi sovranazionali.
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