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«Siamo una marea per dire che il patriarcato esiste e vogliamo disarmarlo». Le donne tornano a fare rumore


Donne, uomini, studenti, famiglie, pensionati, persone di tutte l’età che hanno attraversato le strade di Roma contro la violenza di genere. Prima di raggiungere la manifestazione, gli studenti in pre-corteo, hanno bruciato una foto del ministro Valditara davanti al ministero dell’Istruzione. (Video di Simone Manda)

A chi dice che il patriarcato non esiste risponde una marea transfemminista. Di donne, uomini, studenti, famiglie, pensionati, persone di tutte l’età che hanno attraversato le strade di Roma per ricordare che la violenza di genere esiste eccome. È strutturale ed è la conseguenza di un sistema che si chiama patriarcato. «Che è vivo e vegeto e lo vediamo tutti i giorni nei nostri spazi. Dalle guerre che legittimano la violenza, alle politiche del governo che favoriscono la precarietà economica e delegittimano la libera espressione. Dalla mancanza di cura nei confronti del pianeta, fino ai femminicidi, lesbici, transicidi che da gennaio fino a oggi, secondo l’Osservatorio di Non una di Meno, sono stati 106», ricorda Carlotta, attivista del movimento femminista e trasfemminsta di Milano, durante la conferenza stampa che ha anticipato la partenza del corteo.

«Disarmiamo il patriarcato», infatti, è lo slogan che le migliaia di persone in corteo a Roma hanno gridato per ore. «Per denunciare il clima di guerra che in alcuni paesi diventa persino genocidio, come a Gaza. Mentre qui in Italia è economia di guerra, politiche volte a favorire la repressione del dissenso e il business del riarmo mentre servirebbero investimenti per la sanità, per il welfare, per rafforzare la scuola pubblica. Per strutturare l’educazione sessuo-affettiva nelle classi, fondamentale per prevenire la violenza sulle donne», spiega Claudia di Non una di meno di Roma: «Un fenomeno reale. Solo nelle ultime due settimane due ragazze giovanissime sono state uccise».

Ma a ricordare che il patriarcato esiste, e che è necessario intervenire per decostruirlo non ci sono solo le voci delle migliaia di cittadini arrivati a Roma da tutta Italia per la manifestazione nazionale, che nelle stesse ore attraversa anche le strade di Palermo, organizzata da Non una di Meno in vista del 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne.

Ma anche i dati: «L’anno scorso nei centri antiviolenza abbiamo accolto 23mila donne che ci hanno raccontato storie di violenza e patriarcato. Quest’anno in 10 mesi, le donne sono state oltre 22mila», spiega Stefania Campisi di D.i.r.e., Donne in rete contro la violenza: «La violenza è un fenomeno strutturale. La responsabilità è dell’uomo che maltratta e delle istituzioni che mancano. Siamo qui per andare avanti, cambiare le leggi che non sono sufficienti. Vogliamo di più di quanto abbiamo oggi, vogliamo essere libere. Perché di patriarcato non vogliamo più morire ma neanche più vivere», chiarisce mentre tra la folla a piazzale Ostiense cala il silenzio.

Un minuto muto per ricordare le donne morte per mano di partner o ex partner: 51 secondo i dati del ministero dell’Interno. «Nella maggior parte dei casi italiani. A dimostrazione che non è la nazionalità che conta. Ma la relazione. Il patriarcato è un sistema trasversale che assume forme diverse», dice ancora Carlotta di Non una di Meno, in merito alle dichiarazioni il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara durante la presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin alla Camera dei deputati: «Il governo che abbiamo oggi in Italia è patriarcale. Non basta che ci sia una donna come presidente del Consiglio per dimenticarlo. Se poi le donne vengono considerate solo come mogli e madri è evidente. Se parliamo in maniera positiva dell’occupazione scordando che in Italia il 50 per cento delle donne non lavora, il 30 per cento non ha un conto corrente proprio. E chi ha un’occupazione, nella maggior parte dei casi, lavora in condizioni di precarietà e con stipendi più bassi di quelli dei maschi, è chiaro che, indubbiamente, abbiamo un governo patriarcale. Che diffonde idee razziste».
Una foto del ministro Giuseppe Valditara è stata bruciata davanti al ministero dell’Istruzione dai collettivi universitari che stavano raggiungendo in corteo la manifestazione nazionale. Gli stessi collettivi hanno poi cercato di forzare il cordone delle forze dell’ordine per raggiungere la sede dei Pro-vita.

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A scandire il ritmo del corteo oltre alla musica, ai cori, e alla voglia di fare rete in piazza, anche gli interventi delle organizzazioni che hanno deciso di manifestare a fianco di Non una di meno. Tra queste Cattivemaestre, il collettivo transfemminista di insegnanti precarie e di ruolo, che sottolinea come il primo passo da fare oggi, per smantellare la cultura patriarcale sia: «Promuovere l’educazione al consenso e sessuo-affettiva nelle scuole, perché è dalle scuole che dobbiamo partire per promuovere una società costruita su basi solidali e sul rispetto differenze», scandisce Elisa al microfono, poco prima che, sotto alla sede della Fao su viale Aventino, al rumore delle chiavi che sbattono in aria, la folla si ferma: «Non esisterà la liberazione delle donne senza la liberazione della Palestina. Queste chiavi che rappresentano l’oppressione e la distruzione delle loro case. Non c’è resistenza senza liberazione dal patriarcato», dicono le attiviste per spiegare il flash mob.

Nel frattempo il corteo, che resta illuminato dai fumogeni viola e fucsia anche dopo che il sole è calato, supera il Colosseo e si dirige verso l’arrivo, Piazza Vittorio: «La consapevolezza che alla base della violenza c’è il patriarcato e che questo è il nemico da sconfiggere è intergenerazionale. E ha portato oggi, in piazza a Roma, non solo persone di tutte le età e decine di migliaia di ragazze, ma anche tantissimi ragazzi e uomini accanto alle amiche, alle compagne, alle sorelle. Generazioni sempre più pronte a smontare modelli tossici, violenti e prevaricatori che da sempre colpiscono le donne», spiega spiega la deputata del Pd Laura Boldrini dalla testa del corteo, dove solo alla donne per tutta la giornata è stato consentito manifestare: «Almeno per oggi, maschi state dietro, c’è tanto spazio».

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