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Imprese agricole in crisi, più utili per i distributori


Senza i finanziamenti europei della Pac e il sostengo pubblico gran parte dei coltivatori di grano e degli allevatori non guadagnerebbe neanche un euro l’anno. L’impietosa fotografia è di Ismea che nel presentare il Rapporto Agroalimentare 2024 ha analizzato la distribuzione del valore lungo la filiera agroalimentare. Pur senza raggiungere i miseri livelli nelle catene della pasta e della carne bovina, la produzione primaria è sempre l’anello più debole e sfruttato di tutti i comparti alimentari.

Ismea calcola che su 100 euro spesi dal consumatore per l’acquisto di prodotti agricoli freschi, meno di 20 euro remunerano il valore aggiunto degli agricoltori, ai quali, sottratti gli ammortamenti e i salari, resta un utile di 7 euro, contro i circa 19 euro del macro settore del commercio e trasporto.

I COSTI
Per i prodotti trasformati, che implicano un passaggio in più dalla fase agricola a quella industriale, l’utile dell’agricoltore si riduce a 1,5 euro, solo di poco inferiore a quello dell’industria, pari a 1,6 euro, contro i 13,1 euro di commercio e trasporto. Nella filiera della pasta i costi di produzione del frumento duro rappresentano una quota molto elevata (36%) del valore finale al consumo. Sia in presenza di bassi prezzi della granella, come nel 2017, sia di valori quasi doppi come nel 2023, i costi unitari a carico delle aziende agricole sono sempre risultati più elevati dei prezzi di vendita, con conseguenti valori negativi del reddito operativo.

«In questa filiera – dettaglia Ismea – è soprattutto il margine della distribuzione a incidere sul prezzo al consumo, con un peso del 30% circa nel 2017, salito al 36% nel 2023». Ugualmente, nella catena del valore della carne bovina la fase più critica è quella dell’allevamento, stretta nella morsa dei costi di approvvigionamento dei capi da ingrasso e dei costi di alimentazione, che nel loro insieme rappresentano oltre il 60% del valore finale del prodotto.

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Gli imprenditori agricoli, inoltre, sono coloro che pagano le conseguenze più gravi dei sempre più frequenti disastri metereologici. Nel 2023 – calcola Ismea – le perdite economiche conseguenti ad avversità metereologiche, estremizzate dal cambiamento climatico, sono state di quasi 1 miliardo di euro, con una perdita del 3% della produzione agricola. Il 52% dei danni sono stati causati dal gelo, l’avversità più impattante.

Addirittura in alcuni anni, come nel 2023, il maltempo e altre implicazioni legate per esempio alla carenza di materie prime, sono state particolarmente evidenti, con i costi di allevamento che hanno superato i ricavi generati dalla vendita dei capi, determinando un reddito operativo negativo. L’industria di macellazione mantiene più o meno la sua redditività (4,5% nel 2022 e 3,1% nel 2023), con una struttura in grado di diversificare il rischio; la distribuzione, infine, funge da cassa di compensazione, ritardando il trasferimento dell’inflazione ai prezzi al consumo, ma assicurandosi un margine lordo di 3,56 euro/kg, che in quota rappresenta quasi il 30% del prezzo finale.

GLI ACQUISTI
L’altro anello debole sono i consumatori a cui va male quando l’inflazione sale, ma non risentono dei benefici quando scende. «In fase di inflazione ascendente come negli anni 2022-2023, i prezzi delle fasi finali della catena – spiega Ismea – hanno continuato a crescere in modo meno accentuato, rispetto alla fase a monte, per un tempo più prolungato. In fase discendente (2023-2024), la crescita dei prezzi agricoli si è ridimensionata di più e più velocemente, soprattutto rispetto ai prezzi al consumo che però hanno continuato a crescere, anche se con intensità via via minore».

Il Rapporto Ismea 2024 ha confermato l’importanza del settore: 77,2 miliardi di euro di valore aggiunto, 124 considerando anche logistica e ristorazione, cioè il 15% del Pil; 704 mila imprese agricole e 68 mila industriali; 1,36 milioni di occupati (872 mila nella fase agricola e 489 mila in quella industriale); 12 miliardi di euro gli investimenti in agricoltura nel 2023 , in notevole aumento in termini reali nell’ultimo decennio (+43,5%).

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