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Come essere un buon leader, nonostante tutto. Le sfide dei manager in un mondo sempre più complesso


Nell’estratto del suo nuovo saggio “Essere leader in un mondo complesso”, Alessandro Cravera, membro della Faculty dell’Executive MBA di ALTIS Università Cattolica e 24 Ore Business School, dove insegna Leadership e sviluppo manageriale, ci invita a cambiare il nostro modo di intendere una realtà incerta e influenzata dal contesto culturale e dalle emozioni del momento. Le sue riflessioni per la rubrica domenicale Futuro da sfogliare

Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare”, Alessandro Cravera, fondatore e senior partner di Newton S.p.A, membro della Faculty dell’Executive MBA di ALTIS Università Cattolica e 24 Ore Business School, dove insegna Leadership e sviluppo manageriale, ha dedicato ai nostri lettori un estratto del suo libro Essere leader in un mondo complesso, Egea edizioni.

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Nel secondo dopoguerra il mondo ha vissuto un breve periodo di straordinaria fiducia nel futuro. È stata un’epoca di costruzione sotto tutti i punti di vista: economico, politico e sociale. Dalla fine degli anni Ottanta le cose hanno cominciato a cambiare, e siamo velocemente tornati in una fase di incertezza, ansia e conflittualità che ha caratterizzato la maggior parte della storia dell’umanità. Le diverse crisi economiche e finanziarie degli ultimi trent’anni, il progressivo aumento delle diseguaglianze, la crescita del terrorismo internazionale e dell’integralismo religioso, i cambiamenti climatici e la diffusione della disinformazione su scala globale ci hanno riportati in breve tempo a vivere una traiettoria di evoluzione della realtà non certo positiva.

Molte cose non sono andate come ci si poteva auspicare. Nonostante nel 2024 i cittadini di 76 Paesi, oltre 2 miliardi di persone, siano stati chiamati alle urne, la democrazia liberale è in crisi. Anche nei Paesi in cui la democrazia è più matura e liberale, i segnali che da tempo indicano una riduzione del numero di cittadini che si recano alle urne per esprimere le proprie preferenze politiche, non indicano un buon livello di salute.

Nel mondo delle imprese i segnali non sono positivi. La durata media delle aziende che rientrano nell’indice S&P500 si è ridotta a un terzo rispetto agli anni Sessanta. Le imprese vivono meno rispetto al passato e al loro interno hanno problemi di funzionamento. Tutti gli indicatori ci dicono che i livelli di engagement delle persone che lavorano nelle grandi imprese non sono elevati e da qualche anno si assiste anche a un fenomeno sconosciuto fino ad ora: molti giovani decidono di lasciare il lavoro anche senza un’alternativa. Preferiscono abbandonarlo piuttosto che vivere un’esperienza di sofferenza o disagio psicologico.

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A proposito di giovani, le ricerche indicano che i disturbi mentali sono in drammatico aumento. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo ne soffre tra il 10 e il 20% di bambini e adolescenti e il 50% delle patologie psichiatriche esordisce prima dei quattordici anni di età.

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Alessandro Cravera

Questo quadro a tinte fosche ha molteplici cause e non rientra tra gli scopi di questo libro approfondirle tutte. Una di queste è senz’altro la crisi di leadership. Molte situazioni critiche che stiamo vivendo sono state generate – o comunque non gestite ‒ da leader e decisori inadeguati all’attuale livello di complessità della realtà. In ambito politico, nelle aziende, nei media e anche nelle famiglie, chi ha la responsabilità di guidare spesso non è preparato a farlo in una società interconnessa interdipendente come quella attuale.

In diverse parti del mondo i cittadini stanno esprimendo insoddisfazione per le loro leadership politiche, percependole come distaccate, inefficaci e, in taluni casi, corrotte. L’incapacità di fornire risposte convincenti alle sfide economiche e sociali che interessano la popolazione ha alimentato un progressivo distacco dalla politica e l’ascesa di movimenti e di leader populisti che promettono soluzioni semplici a problemi complessi rischiando di compromettere ulteriormente la possibilità che i contesti che guidano evolvano in una direzione positiva.

Questa crisi di leadership politica si manifesta anche a livello internazionale e multilaterale. Sfide globali come il cambiamento climatico, la gestione dei flussi migratori o le politiche di gestione e prevenzione di una prossima eventuale ondata pandemica richiederebbero risposte coordinate a livello internazionale. Ciò a cui si assiste, in realtà, è una visione miope e nazionalista di molti Paesi che sacrificano il futuro sull’altare di un risultato locale che procura oggi per gli stessi un effimero vantaggio.

La crisi della leadership non risparmia le imprese. Le ricerche indicano una diffusa presenza di leader tossici e distruttivi in azienda. Personalità egocentriche e narcisistiche più interessate a raggiungere i propri obiettivi che a far crescere l’organizzazione in una direzione positiva e sostenibile. Anche quando la leadership non assume forme negative così estreme, gli studi indicano una bassa efficacia dei leader aziendali e un’insoddisfazione generale sulla qualità degli stessi. Troppo concentrati sui propri obiettivi, faticano a leggere le interdipendenze che caratterizzano gli attuali contesti complessi, e questo determina spesso l’attuazione di decisioni sbagliate e strategie miopi che generano effetti indesiderati nel tempo e nello spazio.

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Una crisi della leadership si avverte anche nei media e nell’informazione. I social media oggi giocano un ruolo dominante nella divulgazione delle informazioni e spesso contribuiscono alla diffusione di fake news e disinformazione. I media tradizionali a cui si dovrebbe richiedere rigore informativo, imparzialità e affidabilità, per sopravvivere economicamente si prestano a operazioni di dubbio valore, con l’unico scopo di attirare qualche clic in più e riuscire a sopravvivere economicamente. La percezione di una leadership mediatica incapace di contrastare la disinformazione ha contribuito a creare un senso di sfiducia nei principali player di mercato con il risultato di indebolirli ulteriormente e di lasciare campo libero agli inquinatori dei pozzi dell’informazione.

Anche le famiglie sperimentano una crisi di leadership che si manifesta con una crescente difficoltà a esercitare un’influenza positiva sull’educazione e la crescita dei ragazzi. I genitori oscillano tra un eccesso di protezione e il disinteresse per ciò che fanno i figli. In entrambi i casi gli effetti sui ragazzi sono nocivi e questo non aiuta a mantenere in salute le nostre società.

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Questa crisi di leadership non è dovuta alla mancanza di investimenti formativi. Gli ultimi cinquant’anni sono stati caratterizzati da uno sviluppo delle conoscenze senza precedenti e chi esercita ruoli di leadership oggi ha spesso livelli di istruzione superiori rispetto al passato. La tesi di questo libro è che la crisi di leadership risieda in un’interpretazione errata del concetto di leader e di leadership e, di conseguenza, nei modelli attualmente utilizzati per valutare e formare chi la esercita. Questo libro non intende quindi essere un manuale pensato per aiutare i lettori a migliorare le proprie capacità di leadership. Non mancheranno, soprattutto negli ultimi due capitoli, consigli ed esempi che potranno far comprendere come si può esercitare una leadership efficace. Tuttavia, lo scopo con cui ho deciso di scrivere questo libro è quello di provare a descrivere i limiti e i pericoli che il concetto tradizionale di leadership può determinare se esercitato in un contesto complesso e interdipendente come quello attuale.

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Non mi limiterò a descrivere questi limiti, proverò anche a proporre una possibile strada per superarli. La mia proposta è piuttosto radicale. Finora abbiamo considerato leader chiunque abbia un ruolo di comando e/o riesca a creare un gruppo di follower che risponde alle sue indicazioni. Al di là dei diversi stili di leadership di cui la letteratura è ricca, vediamo il leader come colui che detiene un potere formale o che indica una direzione da seguire e crea seguaci al suo seguito. Non importa se il fine e la direzione intrapresi dal leader siano positivi, etici e sostenibili, o negativi e dalle conseguenze drammatiche. In entrambi i casi la persona con una schiera di follower è considerata un leader: positivo o negativo. Tra i personaggi storici, infatti, è possibile citare figure agli antipodi: Hitler e Gandhi, pur avendo personalità, comportamenti, fini e strategie del tutto opposti sono entrambi considerati dei leader.

Questa ambiguità sul concetto di leadership, che ha caratterizzato più di un secolo di studi, è troppo pericolosa, non può continuare. In un mondo interconnesso e interdipendente come quello attuale ogni decisione, ogni azione e strategia adottata da chi ha un ruolo di guida possono avere effetti sistemici molto più ampi rispetto al passato. L’inconsapevolezza, l’insipienza, la miopia o l’egocentrismo delle scelte individuali possono quindi determinare con sempre maggior frequenza e potenza conseguenze non solo locali, vicine al decisore, ma anche globali, determinando una potenziale crisi dell’ecosistema all’interno del quale si inseriscono. Siamo soliti attribuire a un leader la capacità di ispirare e influenzare gli altri, e la scelta della direzione da prendere e del modo per raggiungere un certo obiettivo. Il primo aspetto pesa però enormemente di più rispetto al secondo. In sostanza, tendiamo a fidarci di persone che sanno guidare anche se sbagliano la direzione in cui ci portano. E non consideriamo leader le persone che non sono interessate a creare schiere di seguaci, ma sanno prendere decisioni, giuste, etiche, sostenibili e che favoriscono un’evoluzione positiva del contesto in cui si muovono.

È ora di invertire i fattori. La proposta che avanzo nel libro è che non possa essere considerato leader chi non determina un’evoluzione positiva del sistema che deve guidare. Nella sua azione un leader può essere più o meno efficace, ma non possiamo continuare a classificare i leader come positivi o negativi. Il leader negativo, per definizione quindi, non è un leader. Può essere – per usare un termine in voga al momento ‒ un influencer, ma non un leader.

A tal fine l’esercizio della leadership deve acquisire consapevolezza della complessità, deve affinare e arricchire le sue competenze, deve acquisire saggezza, un concetto antico di cui dobbiamo rimpossessarci. La proposta a cui arriverò è infatti che la leadership, per essere efficace in un mondo complesso non può che essere «wise leadership»: contestuale, orientata al bene comune, in grado di bilanciare gli interessi in gioco e gli effetti nel tempo e capace di trasformare il contesto in cui si esercita portandolo su una traiettoria di evoluzione positiva e sostenibile.





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