Due anni, soprattutto in chiave Sud, vissuti intensamente. Rifiutando sempre la polemica politica diretta per concentrarsi sulla concretezza degli obiettivi di sua competenza nel programma di Governo. E indicando idee e soluzioni operative all’Europa sulla Politica di coesione che gli sono valse un’attenzione particolare e per niente scontata da parte di Bruxelles.
Due anni, quelli di Raffaele Fitto ormai quasi ex ministro degli Affari europei, del Pnrr, della Coesione e del Sud, che hanno caratterizzato molto l’attività dell’Esecutivo e contribuito a ridefinire il ruolo e le opportunità del Mezzogiorno sia in termini di capacità e rapidità di spesa dei fondi disponibili, europei e nazionali, sia di collocazione sempre più strategica e centrale nell’area euromediterranea. La scelta chiave sul piano interno è stata sicuramente quella di concentrare a Palazzo Chigi, sotto la responsabilità di un unico ministro, l’intera spesa destinata al Mezzogiorno dalla Politica di coesione Ue (e italiana).
Dalle risorse europee ordinarie (i fondi strutturali europei 2021-27, previsti per il 70% circa al Sud), al Fondo Sviluppo Coesione (risorse nazionali da spendere, per legge, all’80% in quest’area), dal Pnrr (con circa 80 miliardi destinati al Sud, pari al 40% del totale, da rendicontare entro il 2026) agli altri programmi pluriennali di spesa: centinaia di miliardi, sulla cui efficacia si gioca ancora una volta la possibilità di ridurre il divario Nord-Sud. Unificare la spesa e la stessa governance della gestione dei Fondi ha reso possibile la definizione di un modello accolto con molto scetticismo dalle opposizioni parlamentari e da alcune Regioni (Campania e Puglia in particolare) ma condiviso nelle sue linee guida dalla Commissione europea, come in occasione del via libera alla rimodulazione del Pnrr. I fatti e nella fattispecie il Rapporto intermedio della Coesione redatto da Bruxelles raccontano oggi che l’Italia è il primo Paese per target di spesa delle risorse straordinarie europee e quello che ha ottenuto finora più rate (sei e la settima è già annunciata a breve) del Next Generation EU, nel rispetto delle scadenze concordate con la Commissione.
Il metodo
Il chiodo fisso di Fitto è sempre stato quello di evitare a ogni costo i penosi ritardi nell’utilizzo delle risorse, una triste consuetudine per ogni ciclo di programmazione, con l’approdo peraltro al traguardo finale – ovvero alla rendicontazione completa della spesa – solo in zona Cesarini, alla fine cioè del terzo e ultimo anno dei “tempi supplementari” concessi dall’UE per evitare il disimpegno delle risorse. È accaduto, come raccontato dal Mattino, anche per il ciclo 2014-20: le Regioni del Sud hanno ottenuto la certificazione della spesa solo in questi mesi, dopo avere accelerato la spesa tra il 2022 e il 2023. È nata da qui la riforma della Coesione sulla quale Fitto ha investito una quota importante della sua credibilità politica: sostenuto dalla premier Meloni e dall’intero Governo, il ministro ha difeso con i denti l’obiettivo di razionalizzare i flussi di spesa, evitare duplicazioni nell’accesso alle fonti di finanziamento, prevedere tempi certi tra l’assegnazione dei fondi, la progettazione degli interventi e la conclusione dei cantieri.
Una sfida a tutti gli effetti per il Mezzogiorno (ma anche per la stragrande maggioranza dei ministeri, anch’essi puntualmente in ritardo) che ha avuto un impatto forte con l’introduzione, nell’ambito della Riforma, degli Accordi di Coesione, decidendo di esaminare a monte e non più a valle le proposte di ogni Regione prima di accordare il via libera alle risorse dell’Fsc, già peraltro assegnate ad ognuna di esse. Una scelta che sul piano politico ha provocato forti reazioni (arcinota la dura contestazione sollevata anche in sede giuridica dalla Campania) ma che oggi vede non firmatarie le sole Puglia e Sardegna. Ma con la Riforma della Coesione sono stati anche indicati per la prima volta gli ambiti operativi all’interno dei quali è possibile la programmazione della spesa da parte delle Regioni. Solo sei ambiti, per la precisione, che delineano il prospetto di un Paese che sa dove e come spendere i suoi soldi senza sovrapporsi al vicino di territorio. Due anni in chiave Sud vogliono dire anche Zes unica, la novità più rilevante per il sistema delle imprese che operano nel Mezzogiorno.
Anche in questo caso si è trattato di una rivoluzione, non priva di dubbi e proteste: Fitto, inizialmente critico su tutte le esperienze di Zes regionali preesistenti (salvo poi riconoscere la qualità di quella campana e di chiamare il suo ex commissario, Giosy Romano, alla guida della nuova Struttura di coordinamento), ha fatto del Sud l’area europea più vasta per investire a condizioni facilitate sul piano finanziario e soprattutto con procedure burocratiche a dir poco snelle. Una scommessa partita con un inevitabile ritardo, che non si è ancora dotata del Piano strategico triennale e con dubbi sulla consistenza del credito d’imposta ma che sta iniziando a dare risultati significativi (i primi dati sugli investimenti sono attesi nelle prossime ore). La macchina, insomma, si è messa in moto anche se per oliarne tutti gli ingranaggi e garantire alle imprese la certezza delle risorse disponibili occorrerà la massima celerità possibile. Non va dimenticato che anche qui è arrivato il via libera dell’Europa, a riprova di un dialogo costante e costruttivo tra Italia e Bruxelles a prescindere dalla diversa appartenenza politica dei suoi protagonisti. Un elemento, quest’ultimo, che ritorna puntuale proprio sul Pnrr e da cui potrebbe scaturire anche la proroga dei termini, attualmente fissati al 2026, che già da più parti si sollecita. Lo si potrà capire meglio nei prossimi mesi quando si dovrà verificare, cantieri alla mano, se il Piano potrà essere completato oppure no. E il parere del vicepresidente esecutivo europeo Fitto sarà determinante.
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