Città è democrazia
Nelle scuole e nelle università ci insegnano che la democrazia è nata nell’antica Grecia, ad Atene, più di 2000 anni fa. Fin dalla sua nascita, quindi, il destino della democrazia è legato a quello delle città: luoghi di incontro, di convivenza tra esseri umani, di condivisione di idee e di aspirazioni per un miglioramento individuale e collettivo. Fin dalle sue origini, la democrazia è imperfetta: lo era ad Atene, con un sistema che, tra le altre imperfezioni, si basava sulla schiavitù e sulla discriminazione delle donne, e lo è oggi, con grandi oligarchie globali che alterano la democrazia formale, con la mercificazione di diritti fondamentali come quello alla casa o con la concentrazione di poteri – mediatico e tecnologico – che permettono di intervenire e manipolare forme di partecipazione apparentemente ineccepibili, come il principio “un cittadino, un voto”.
Eppure, nonostante le loro imperfezioni (sia quelle della democrazia che quelle delle città), non siamo stati capaci di inventare nulla di meglio. Nonostante la speculazione immobiliare, l’inquinamento o le disuguaglianze, le città continuano a essere un polo di attrazione per la maggior parte della popolazione mondiale (in Europa il 75% della popolazione vive in aree urbane). Le città rappresentano ancora lo spazio delle maggiori opportunità, il luogo dove non solo è possibile ottenere un lavoro migliore o accedere ai migliori servizi pubblici, ma anche il luogo in cui reinventarsi, conoscere persone affini, accedere a un’ampia offerta culturale e ampliare le proprie libertà.
Spazi condivisi, non luoghi di solitudini
Nella mia esperienza, sia come cittadina e attivista per il diritto alla casa, sia come sindaca di Barcellona dal 2015 al 2023, ho vissuto in prima linea le contraddizioni e i conflitti crescenti delle città globali. Constato che la vita nelle città è sempre più minacciata dalla speculazione immobiliare, dal turismo di massa, dall’inquinamento e, in generale, dalla mercificazione di tutto ciò che è urbano, dallo spazio pubblico alla mobilità, passando per la cultura. Viviamo in un mondo globalizzato in cui i grandi capitali e i fondi di investimento sanno bene che il suolo urbano è uno dei pochi investimenti sicuri che generano sempre plusvalore: i prezzi nelle grandi città non smettono di salire, alimentati dalla domanda dell’economia globale, causando l’espulsione dei residenti che non riescono a far fronte al crescente costo della vita.
Come si può resistere al capitalismo estrattivista e ricostruire un senso di appartenenza e una cittadinanza che possa trasformare la realtà? Come fare in modo che le città tornino a essere spazi di miglioramento e approfondimento democratico, invece che luoghi di transito e servizi, di solitudini accumulate che lavorano tutto il giorno per sopravvivere, senza tempo per vivere?
Difendere servizi e beni pubblici
La mia tesi, che sono felice di condividere, ampliare e discutere durante le giornate About de City organizzate dalla Fondazione Feltrinelli, è che, da un lato, dobbiamo combattere con determinazione decenni di individualismo, recuperando e rafforzando i processi di organizzazione cittadina e comunitaria (associazioni di quartiere, movimenti sociali, sindacati, associazioni culturali, ecc.), per costruire una cittadinanza organizzata che interpelli con forza le istituzioni e tutti gli attori della città. Dall’altro lato, dobbiamo recuperare la leadership pubblica nella progettazione del modello di città, in linea con quanto propone Mariana Mazzucato: le amministrazioni locali non devono essere semplici gestori di servizi e delle esternalità dei mercati, ma devono definire obiettivi e priorità, essere intraprendenti e mobilitare i mercati verso le necessità della società.
La somma del potere cittadino e delle amministrazioni che recuperano la leadership dovrebbe permettere una controffensiva alle élite locali e globali, con la difesa dei servizi pubblici e dei beni comuni come la casa, l’acqua o lo spazio pubblico.
Ma affinché tutto ciò sia possibile, dobbiamo recuperare qualcosa di fondamentale, qualcosa che i partiti progressisti hanno in gran parte perso negli ultimi decenni: la capacità di immaginare nuovi mondi, la creatività e il coraggio di mettere in discussione la realtà attuale. Per troppo tempo ci siamo accontentati di una socialdemocrazia “soft”, limitata a gestire l’esistente, e questo non basta più. Solo se saremo in grado di immaginare le città (e la democrazia) che desideriamo, saremo in grado di recuperarle e trasformarle.
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