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«La Lega chiederà il Veneto. E andiamo avanti sul terzo mandato»


Passo veloce, capo chino, sotto braccio una cartellina che trabocca di fogli. «Sì, certo. Chiaro, chiederemo il Veneto». L’aula del Senato aspetta Matteo Salvini per il question time. Banchi vuoti: è giovedì, i senatori sono già lontani con i rispettivi trolley. Prima di entrare il leader della Lega ha tempo però di commentare la cronaca battente. Cioè la grande battaglia che si staglia all’orizzonte del Carroccio, dopo una sconfitta cocente alle Regionali in Umbria: le elezioni in Veneto. Appuntamento a fine 2025, forse ai primi mesi del 2026. Sembra manchi un’era e invece sono pochi giorni agli occhi del segretario deciso a riscattarsi nel profondo Nord dove il partito ha le sue radici. «Se chiederemo la Regione per la Lega? Certo, noi la chiediamo» taglia corto Salvini parlando con Il Messaggero e altri due giornali.

L’AVVISO

Eccola, la messa in mora degli alleati. Cioè Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni che sul Veneto ha da un bel po’ puntato lo sguardo e ha tutta l’intenzione di rivendicare la guida della Regione al prossimo giro. Mica semplice prendersi sulle spalle l’eredità di Luca Zaia. Il governatore leghista ribattezzato “Doge” dopo un decennio al timone sull’onda di consensi bulgari. Non può ricandidarsi: servirebbe una deroga alla legge che vieta di correre per tre volte.

Il famoso “terzo mandato”, però, Meloni non vuole concederglielo. Per la serie: ora tocca a noi. Sotto sotto, anche Salvini pensa sia ora di un cambio stagione. Eppure in pubblico, adesso che deve rilanciare un partito uscito indebolito dal voto sui territori, torna a difendere la battaglia del “Doge” Zaia. Il terzo mandato si deve fare o no? «Noi chiederemo anche quello, certo, ne parlerò con Meloni» ribatte il “Capitano” senza pensarci due volte, mentre sale in solitaria i gradini di Palazzo Madama. Salvo aggiungere una postilla per stemperare i toni, alleggerire un po’ il pressing del partito sulla premier. «Ovviamente- dice Salvini – ora la priorità è la legge di bilancio». Sulla carta è così. Occhi sulla Manovra, il resto si vedrà.

Nei fatti, la questione veneta monta come panna, di ora in ora, tra i dirigenti e i militanti del partito di via Bellerio. Assetati di riscossa dopo una tornata regionale a dir poco deludente per la Lega, come ha riconosciuto lo stesso segretario nel Consiglio federale di mercoledì. Passi lo scivolone di Donatella Tesei in Umbria, che comunque priva il Carroccio del suo ultimo governatore sotto il Po.

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A preoccupare, e può sembrare un paradosso, è semmai il risultato nella rossa Emilia Romagna, stravinta dal candidato del Pd Michele De Pascale come peraltro avevano previsto da tempo a Palazzo Chigi. Già, perché Emilia-Romagna, a differenza dell’Umbria, è Nord Italia. E una Lega che in una Regione del Nord viaggia intorno al 5 per cento – dove solo cinque anni fa, ai tempi d’oro del salvinismo gialloverde, veleggiava al 30 – fa rumore e anche un po’ paura alla dirigenza del partito.

Ecco allora spiegato il cruccio del Veneto. La linea Maginot del partito, dove l’ordine è: difenderlo, a tutti i costi. Non sarà una passeggiata. E a mostrarsi realista a porte chiuse, durante il federale, è stato proprio Salvini: «Non sarà facile sbloccare il terzo mandato». Sa benissimo, il leader, che Meloni bloccherà sul nascere nuovi blitz in Parlamento. Senza contare che la vicenda si incrocia con quella di Vincenzo De Luca, il governatore campano pronto a correre per un terzo giro contro il volere della segretaria Pd Elly Schlein. Un grande cubo di Rubrik.

In pubblico però, con i cronisti al Senato, Salvini promette battaglia: «Sì, lo chiederemo». Tatticismi per prendere tempo con Zaia? Può essere. Del resto in Veneto correre “contro” Zaia «significa perdere», spiegano i big della Lega. Ergo: bisogna accomodare un minimo le richieste e le ambizioni del governatore uscente. Una di queste si chiama Coni: la presidenza scade proprio nel 2026, dopo le Olimpiadi di Milano-Cortina in cui il “Doge” ha avrà un ruolo chiave. Ed è proprio lui, nei colloqui privati, a ricordare la curiosa coincidenza fra le urne venete e le elezioni per rinnovare la presidenza del Comitato olimpico. Tempo al tempo.

QUI WASHINGTON

Intanto Salvini è prodigo di promesse e tira dritto. A vederlo percorrere a grandi falcate i corridoi di Palazzo Madama non sembra affatto incupito dal voto regionale. Il pensiero, in queste settimane, vola molto oltre l’Umbria e perfino il Veneto. Oltre Oceano, alla Casa Bianca dove sta per insediarsi Donald Trump e il suo amico Elon Musk. Una nuova era. Salvini, addosso la cravatta rosso-Trump di ordinanza, ne è sicurissimo. Un attimo prima di sparire dietro le tende scarlatte dell’aula, risponde a un’ultima domanda sulle mine e i missili inviati da Biden a Zelensky all’ultimo minuto per tentare la spallata sul campo a Putin. «Cosa ne penso? Che il prossimo presidente si chiama Trump e se ne occuperà bene lui», sorride. La pace è vicina? «Sì».

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