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così soffre l’agricoltura in Puglia


Temperature sempre più elevate ed eventi meteorologici estremi: il cambiamento climatico in atto spaventa non solo per i potenziali danni a cose e persone, ma anche perché rappresenta una concreta minaccia all’agricoltura e alla produzione alimentare. Cercare strategie di adattamento dell’intero settore ai nuovi scenari che si profilano da qui ai prossimi decenni appare di vitale importanza soprattutto per quelle regioni – e tra esse la Puglia – che sull’agricoltura poggiano una bella fetta del proprio Pil.

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Il rapporto di Legambiente

I dati che emergono dall’ultimo Rapporto Città-Clima di Legambiente descrivono un quadro preoccupante a livello internazionale, con ripercussioni che riguardano l’Italia e direttamente la Puglia, prostrata a causa di una siccità che qui più che altrove fa sentire i suoi devastanti effetti e soggetta all’impeto di eventi meteorologici estremi – leggi grandinate, trombe d’aria e piogge intense – che danneggiano i raccolti e penalizzano l’economia. Il report analizza nel dettaglio gli eventi meteo estremi che hanno causato direttamente danni sull’agricoltura nell’ultimo decennio, che sono stati 146. E bastano i freddi numeri a dimostrare come il cambiamento climatico proceda con andamento galoppante: si è passati dai 3 eventi estremi del 2015 ai 43 del 2023 fino ai 36 (ma il dato è parziale e si ferma a settembre) del 2024. Un’evidente impennata. E la Puglia, con i suoi 17 eventi estremi registrati, è al terzo posto tra le regioni che del cambiamento climatico risentono di più, dopo Piemonte (20) ed Emilia-Romagna (19).

Ma non è solo questo a spaventare: secondo i dati di Isaac-Cnr, nei primi sette mesi del 2024 le piogge sono diminuite del 46% rispetto alla media degli ultimi trent’anni, con conseguenze devastanti per l’agricoltura. Anche a causa della carenza d’acqua, la produzione di olio d’oliva per quest’anno è stimata all’80% rispetto al 2023. E la Puglia, che da sola rappresenta circa il 50% della produzione nazionale, è stata particolarmente colpita. Non solo olio: l’assenza di pioggia ha colpito gli alberi da frutto e i vigneti, le arance e la produzione del grano. E la mancanza del nettare nei fiori ha causato una riduzione che si calcola possa arrivare fino al 95% della produzione del miele.

Il Piano Nazionale (in attesa di attuazione)

Secondo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici approvato nel 2023, entro il 2050 il settore agroalimentare italiano, in assenza di interventi di adattamento alle mutate condizioni climatiche, rischia perdite economiche pari a 12,5 miliardi di euro l’anno. Il Piano prevede anche 361 misure da adottare su scala nazionale e regionale per adattarsi ai cambiamenti climatici, 28 delle quali riguardano proprio il comparto agricolo. Purtroppo però – rileva Legambiente – il Piano al momento manca di attuazione.

Il decalogo di buone pratiche

Da qui l’esigenza di proporre un decalogo di buone pratiche da seguire per arginare i danni prodotti dai cambiamenti climatici e per promuovere l’adattamento del settore agricolo alle sfide dei prossimi decenni. Oltre all’attuazione del Piano (punto primo del decalogo stilato da Legambiente), occorrerebbe virare nettamente verso l’agroecologia e il biologico, riducendo l’uso di pesticidi, antibiotici negli allevamenti e fertilizzanti chimici. Fondamentale sarà la riduzione degli sprechi idrici ed energetici che si può ottenere attraverso l’adozione di azioni virtuose e buone pratiche colturali come la micro-irrigazione anche attraverso l’uso di acque reflue depurate, la scelta di colture meno “idroesigenti”, l’adozione di sistemi di agroforestazione. Impellente, per Legambiente, è l’adozione di una Legge contro il consumo di suolo, così come la riduzione del carico zootecnico, prima fonte emissiva di gas responsabili dell’alterazione del clima. Ancora: è necessario (punto sei) sostenere il biologico incentivandone l’utilizzo ad esempio nelle mense scolastiche o negli ospedali. Importante sarebbe poi prevedere uno spostamento di risorse sulle aeree interne e qui è interessante notare come «il susseguirsi di alluvioni in Emilia-Romagna indica chiaramente che occorre tornare a presidiare i terreni alti, dove le alluvioni hanno origine». E che sono aree in cui si potrebbero facilmente riposizionare quelle colture che a quote più basse soffrono a causa dei sempre più frequenti caldi estremi. Non da ultimo, Legambiente propone il sostegno all’occupazione nel settore agricolo, che oggi conta solo un milione di occupati, e l’utilizzo sapiente delle nuove tecnologie non per massimizzare le produzioni, quanto piuttosto per ridurre gli input negativi e fornire agli operatori agricoli servizi e strumenti specifici per fronteggiare gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici.

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