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Adista News – Famiglia di Maria /2: “Perché altre vittime rompano il silenzio”


Tratto da:

Adista Notizie
n° 41 del 30/11/2024

42047 ROMA-ADISTA. Abbiamo posto qualche domanda a uno degli ex membri e vittime della Famiglia di Maria che hanno inviato la lettera di denuncia in Vaticano (v. notizia precedente), poi resa pubblica, e hanno attivato un indirizzo mail (victimesdelafamilledemarie@gmail.com) per adesioni e testimonianze: una iniziativa con cui vittime di abusi prendono la parola e cercano l’ascolto dell’istituzione.

«L’idea di questa lettera ci è venuta quando abbiamo scoperto con amarezza che tutto il processo che ha portato alla condanna di don Sigl si è svolto nella segretezza, tenendo all’oscuro le vittime come se non esistessero, senza cercarle, senza raccogliere le loro testimonianze, e diffondendo ora in modo confidenziale i risultati delle sanzioni comminate tenendo nascosti i motivi, indubbiamente gravi, che le hanno portate», ci dice; «è questa dolorosa constatazione che i metodi in vigore nella nostra Chiesa non stavano cambiando che ha fatto da detonatore: non potevamo continuare a tacere, dovevamo far sgorgare il nostro grido di dolore e di rivolta». L’obiettivo della lettera era di «ricordare ai responsabili della Chiesa la nostra esistenza e il nostro rifiuto di questo modo intollerabile di operare, che mostra un grave disprezzo per le vittime ignorandole completamente, infantilizzandole con l’omissione di informazioni e calpestandole così ancora una volta». Una «cultura – per non dire un culto – della segretezza che persiste nonostante tutti gli scandali che ha reso possibili, come nel caso dei fratelli Philippe». «Volevamo denunciare questa pseudo-riorganizzazione di una comunità – prosegue l’ex membro della Famiglia di Maria – che finge di credere che tutto stia migliorando. Purtroppo, sappiamo bene che è praticamente impossibile cambiare mentalità che si trovano in una morsa così profonda da decenni. E noi abbiamo voluto denunciare un modo di agire che ha portato alle dimissioni di una responsabile che probabilmente ha fatto solo l’errore di vedere la situazione con maggiore obiettività».

L’obiettivo, però, è anche quello «di denunciare la responsabilità dell’istituzione Chiesa nei crimini di manipolazione perpetrati all’interno di questa comunità, dal momento che è stato proprio il Pontificio Consiglio per i Laici a riconoscere la Famiglia di Maria come associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio nel 1995 e nel 2004, ed è stata proprio la Congregazione per il Clero a erigere nel 2008 l’Opera di Gesù Sommo Sacerdote in associazione clericale, internazionale e pubblica di diritto pontificio con facoltà di incardinazione. Quindi condannare p. Sigl non basta, è un po’ facile. Per essere onesti e coerenti, bisognerebbe ritenere responsabile chi gli ha dato questa onnipotenza di incardinare, senza discernimento nonostante gli avvertimenti di molte ex vittime».

Carta di credito con fido

Procedura celere

Quanto alla mancata risposta alla lettera da parte dei soggetti coinvolti, «ci saremmo aspettati come minimo di rispetto da parte dell’istituzione che accusasse ricevimento della nostra lettera. Non ha fatto nemmeno questo. Questo conferma quanto le vittime siano ignorate e infastidiscono l’istituzione. Non c’è alcuna volontà di dialogare con loro, nonostante la retorica. Non c’è volontà di scoprire la verità su tutti i comportamenti criminali che hanno distrutto la capacità di tante persone di buona volontà di relazionarsi con Dio, con il prossimo e con se stesse».

Ma i firmatari non vogliono parlare solo per sé: «Per le altre vittime, spero che sentano che questa lettera è la loro lettera, che questo grido è il loro grido. Spero che si rendano conto che non sono sole, che quello che hanno vissuto per mano di p. Sigl e della “Madre” (Franziska Kerschbaumer) sono crimini, grandi abusi spirituali, che riescano a dare parole al loro dolore e che trovino anche la forza, attraverso questa lettera, di denunciare tutte queste forme di abuso che spesso hanno compromesso le loro vite, le nostre vite». 

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