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L’esercito ucraino ha utilizzato per la prima volta i missili statunitensi ATACMS per un attacco in territorio russo, seguito dall’impiego degli Storm Shadow britannici. Superati i mille giorni di conflitto, e nonostante l’elezione di Trump, la guerra in Ucraina si è riaccesa.
Il Cremlino ha aggiornato la propria dottrina nucleare, avvertendo che “anche gli attacchi con missili a lungo raggio potrebbero essere considerati una minaccia critica alla sicurezza nazionale”. L’escalation prosegue in un clima di silenzio e rassegnazione che appare irragionevole.
Guerra prima che si tardi
Se ancora qualcuno nutriva dei dubbi sulle cause scatenanti la guerra ucraina, con la dichiarazione di guerra alla Russia, più o meno di questo si tratta, effettuata dall’amministrazione uscente di Biden che ha dato il via libera agli attacchi sul suolo russo, quelle ultime perplessità sull’aggressore e l’aggredito, sui buoni e i cattivi, sul bene e il male, dovrebbero essere sciolte.
Ma sono troppo ottimista. Esiste un variegato mondo semicolto che pende dalle labbra della TV, dei personaggi più in vista, e che è stato e sarà di nuovo sedotto dalla furia civilizzatrice della retorica di guerra.
La psicopatia democratica e progressista (che non ha nulla a che fare con la sinistra) non conosce altro universo che quello dei protocolli, dei vademecum, dei riflessi condizionati e delle prove di forza.
E conduce alla rovina con un lessico assertivo, implacabile perché didascalico e benpensante, dirompente nella sua cecità ideologica.
La guerra va coltivata giorno per giorno prima che arrivi qualcuno a distruggere il raccolto e va rilanciata come fosse un dovere morale, un culto da osservare liturgicamente con sprezzante ottimismo.
L’escalation silenziosa
L’Ucraina lancia i primi missili Usa sul territorio russo. A memoria non ricordo un coinvolgimento occidentale contro la Russia così diretto. Fatto sta che nel nuovo contesto mutano le dottrine nucleari; insomma cambiano le regole del gioco.
Eppure, nonostante quella che appare una vera e propria forzatura provocatoria, analisti tra i più stimati tendono a minimizzare. Trattasi di schermaglie tattiche per arrivare a negoziati più coscienziosi, per cristallizzare posizioni di forza consolidate.
Insomma si osserva il lento apparire delle cose senza troppi turbamenti come se le regole d’ingaggio di un conflitto fossero sempre razionali, delimitate dalla forza della Ragione.
Anche nelle analisi sulla guerra il tecnicismo sfodera la proprie armi protocollari; nel caso di specie si chiama geopolitica. Tutto ha una spiegazione esemplare, tutto assume un significato logico, ogni evento fa un caso di scuola. Non c’è insomma da preoccuparsi troppo: i vademecum già prevedono domande e risposte, gli specialisti già conoscono l’approdo diplomatico finale.
Chissà perché ma più mi circondo di queste rassicurazioni che masticano scienza e più tendo a preoccuparmi. Tutte queste verità sembrano non concepire l’inaspettato o l’inconcepibile.
Non comprendono nel loro immaginario e nei loro rituali l’esplosione di una scintilla capace di generare caos, violenze improvvise, obiettivi strategici fino ad oggi mimetizzati che appaiono in un sol colpo limpidi.
Improvvisamente si sdrammatizza l’inasprimento della contesa e si smitizza la volumetria degli arsenali in campo. Affiora un saputo e compiaciuto vocabolario ottimista di cui non padroneggio la sintassi.
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