Nel periodo della formazione universitaria, il poeta Giuseppe Giusti si dedica ai piaceri di una dissolutezza bohémienne; le cronache lo danno tanto al Teatro dei Ravvivati, nei salotti dell’aristocrazia pisana, al caffè dell’Ussero dove discute e scherza in versi con il turbolento sottobosco intellettuale del Granducato degli anni Venti dell’Ottocento, quanto nelle bettole e nei casini che, dalla dolcissima curva che prende il lungarno prima di lanciarsi dritto al suo estuario, si diramano nei vicoli gotici dell’ex repubblica marinara. Una manciata d’anni e d’occasioni che arrotondano la libertà di carattere e aprono all’indulgenza verso le morbidezze di una vita tra libertinaggio ozioso e patriottismo impegnato; il lascito spirituale dell’erede di Grotta Giusti, proprietà che da secoli è stata nel patrimonio della sua famiglia, è questo. La sua essenza permea la villa e il giardino antistante, impostato al modo lucchese, rigoglioso, vario e appena labirintico, si fa strada nel terreno carsico che qui è sorprendente perché inatteso rispetto all’idea dei paesaggi da cartoline collinari fitte di cipressi, accarezza, abbraccia i suoi ospiti, quasi a dirgli in una lingua universale, benvenuti a casa.
Anche perché a Monsummano Terme, l’inglese è comune quanto il russo, il francese, il tedesco o il cinese; ogni tanto si percepisce un suono in italiano, ma sono più frequenti il canto dei passeri e la voce del vento tra le fronde delle querce – tanta è la fama di questo centro che oggi fa parte dell’Autograph Collection Hotel di Marriott. Esperienza termale sui generis, combina il concetto in costate revisione di “soggiorno di lusso”, a una più avventurosa proposta di benessere à la carte: chi vuole la suite con il letto king size e l’affaccio da sogno, la stanza da bagno spaziosa e i prodotti courtesy ricercati, il servizio in camera, il cameriere (quasi) personale, i tre pasti principali e le merende perfettamente confezionati sulla cucina locale interpretata in un minimalismo gustoso, è nel posto giusto; allo stesso modo, ci si può dedicare al trekking o all’escursionismo subacqueo. Tra loro, il tepore dell’acqua che nella grande piscina con idromassaggio all’esterno e nel laghetto sotterraneo oscilla tra i 28 e i 34 gradi, e quella sensazione di resa a un ritmo vitale rigenerante.
Le saune a diverse temperature, il bagno turco, il tepidarium, le zone relax, fanno da corona alla vocazione medicale della struttura, a cui si può accedere anche per completare un percorso di cure delle vie respiratorie o di tipo ortopedico – è l’antico salus per aquam che incontra la contemporaneità. I più intrepidi, perché pensarci in vacanza o pensare a una vacanza “in funzione di” è da eroi, possono chiedere un consulto alimentare finalizzato a una dieta che sarà comunque, ce lo promettono, appetitosa. Tutti, invece, siamo accomunati dalla stessa curiosità per la grotta. Possiamo visitarla con gli occhi di uno speleologo in erba o restare immobili, in silenzio contemplativo godendo dei suoi vapori lenitivi; possiamo praticare attività che, nel comune denominatore del respiro, mettono d’accordo l’oriente e l’occidente; possiamo ascoltarla.
“Il solo fra tutti i popoli che non abbia paura dell’inferno, il solo che abbia coll’inferno continui e famigliari rapporti sono i toscani… hanno sempre viaggiato in quel paese, e tutt’ora lo percorrono, come se viaggiassero in casa propria. Vanno e vengono dall’inferno quando piace a loro, e nel più semplice modo: a piedi, in calessino, in bicicletta, come se andassero a fare un giro per il podere”, scrive Curzio Malaparte nel suo Maledetti toscani e, così, ci dà una chiave per capire perché, al momento della sua scoperta fortuita nel 1849, dei braccianti abbiano deciso, torce alla mano, di calarsi in quella faglia oscura che gli si era aperta sotto ai piedi. E poi di percorrerla attraversandone le sale fitte di stallatiti e concrezioni dal terreno, giù fino a uno specchio d’acqua cristallina e, da lì, a risalire: dal sottosuolo al cielo, un’indulgenza plenaria per il corpo.
Sono miope e astigmatico. Due difetti visivi a cui devo una necessità antropologica: quella di capire prima di mettere a fuoco. Persone, paesaggi e oggetti, attraverso la lente della moda, che utilizzo per formazione, mi sembrano un po’ più chiari. Quella del giornalismo, che imparo a indossare ogni giorno, mi aiuta a (ri)definire il contesto, attualizzarlo e tradurlo in piccoli racconti contemporanei per Elledecor.it, Esquire.it e Harpersbazaar.it
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