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Perché Meloni non ha convinto in Emilia-Romagna e in Umbria e cosa cambia per le Regionali 2025


In Emilia-Romagna e in Umbria il cdx ha raccolto percentuali più o meno identiche a quelle di politiche ed europee. Che cosa non ha funzionato allora e cosa bisogna aspettarsi dalle prossime regionali del 2025? Ne abbiamo parlato con Salvatore Vassallo, direttore dell’Istituto Cattaneo, che ha analizzato i flussi elettorali.

Intervista a Salvatore Vassallo

Direttore Fondazione di ricerca Istituto Cattaneo

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Le tornate in Emilia-Romagna e Umbria hanno assegnato la vittoria al centrosinistra, che ha vinto anche dove la partita era più contendibile. “Grossomodo vengono confermati gli equilibri registrati al politiche e alle europee”, ma ci sono delle “variazioni che dipendono dalla qualità dei candidati dalla composizione della coalizione e che hanno fatto una differenza nelle Regioni in bilico”, spiega a Fanpage.it Salvatore Vassallo, direttore della Fondazione di ricerca Istituto Cattaneo, che ha analizzato i flussi elettorali.

Certamente, i risultati delle Regionali non possono essere interpretati “come un segnale definitivo che ci sia un’onda a favore di un determinato schieramento perché altrimenti dovremmo pensare che fino a due settimane fa, in Liguria, l’onda fosse del centrodestra”.

Lo stesso discorso vale per i risultati ottenuti dalle liste di partito. Sia in Emilia-Romagna che in Umbria, il Partito democratico è arrivato primo, rispettivamente al 42,9% e al 30,2%, ma in generale in tutte le regionali – osserva Vassallo – i dem sono cresciuti in maniera significativa. Perché? “Perché gli elettori del Pd vanno tutti a votare, mentre gli elettori di altri partiti hanno una certa quota di astensionismo”, spiega.

Probabilmente, dietro la maggiore mobilitazione dell’elettorato dem c’è “il merito dell’attuale dirigenza che riesce a motivare, ma anche una propensione strutturale di quegli elettori a votare in maniera più continuativa”. Se domani si tornasse a votare per le politiche però, “non possiamo prevedere che la percentuale di voto del Pd risulti così alta”, precisa.

Che cosa non ha funzionato nel centrodestra

Dall’altra parte, dalle serie storiche realizzate dall’Istituto Cattaneo, si evince che le percentuali del centrodestra sia in Emilia-Romagna (40,7%) sia in Umbria (46%) risultano pressoché identiche a quelle raggiunte alle politiche, alle europee e alle altre regionali del 2024.

Fonte: Istituto Cattaneo

Fonte: Istituto Cattaneo

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Ad esempio, in Umbria il centrodestra si è attestato attorno al 46,2% alle elezioni del 2022 e al 47,8% a quelle per il Parlamento Ue. Che cosa ha penalizzato allora, Meloni e i suoi alleati, specie lì dove l’esito era più in bilico? “C’era una candidata presidente uscente, Tesei, che non aveva brillato e su cui c’erano state anche delle polemiche interne al centrodestra poi superate per quieto vivere. Al contrario la candidata di centrosinistra, Proietti, da molto tempo si è messa in moto per costruire una coalizione molto ampia ed è riuscita che questo obiettivo”, chiarisce Vassallo.

Così come in Emilia Romagna, “De Pascale ha lavorato sul riconosciuto consenso costruito intorno ai due mandate di Bonaccini, proponendosi non come continuatore, ma comunque con lo stesso stile di lavoro che che è stato apprezzato dall’elettorato. A destra invece c’era una candidata non particolarmente nota (Elena Ugolini, ndr.)”, aggiunge.

Per quanto riguarda Fratelli d’Italia nello specifico, il partito in termini percentuali rimane il primo nel centrodestra, ma vede ridotta la sua percentuale di voto. Il motivo secondo Vassallo, è che “contrariamente a quello che si può immaginare pensando a Giorgia Meloni e alla sua opposizione politica e culturale, si può dire che abbia un elettorato di opinione, che si è spostato da Berlusconi a Salvini, a Meloni e anche alle Regionali in una quota non marginale si è spostato sulle liste civiche del presidente e in una piccola parte è anche andato verso l’astensione”.

Tra gli alleati di FdI, invece, per quanto sia vero che la Lega ha registrato una certa flessione rispetto alla buona tenuta di Forza Italia, “resta difficile desumere sulla base delle regionali, che hanno tutte storie molto particolari e in cui le liste civiche hanno avuto un certo successo, di più di quello che si ricava dai sondaggi nazionali”, aggiunge il politologo.

Perché alle regionali 2025 il M5s può fare la differenza nel csx anche se è andato male

Quel che è certo è che a portare a casa il bottino più sostanzioso in termini di preferenze sono stati i due principali partiti del Paese, posizionati ben distanti dai loro partner di coalizione, tanto da spingere la maggior parte degli analisti a certificare a tutti gli effetti un ritorno del bipolarismo in Italia. “È la cosa più evidente di tutta la tornata 2024. La dinamica è nettamente tornata nettamente bipolare”, conferma anche Vassallo.

Questo consente al centrosinistra di “tornare ad essere competitivo almeno in alcune Regioni e ovviamente pone un problema ai 5 Stelle che dovrà discuterne a breve”. Il M5s infatti, ha preso appena il 3,5% in Emilia-Romagna e il 4,7% in Umbria.

Anche in questo caso però, precisa Vassallo. occorre tenere conto di alcune specificità dell’elettorato pentastellato. “Così come gli elettori Pd sono più identificati con la politica e con le istituzioni, quelli dei 5Stelle si identificano di più con la categoria che vota quando pensa che sia in gioco qualcosa che considera rilevante, ad esempio il reddito di cittadinanza“.

Non è da escludere quindi, che alle tornata di Regionali del 2025 (che riguarderanno Campania, Veneto Toscana Puglia Marche e Valle d’Aosta) il Movimento possa ancora pesare all’interno del campolargo a trazione Pd. “Come tutte queste elezioni stanno mostrando, a parte il caso del dell’Emilia Romagna, ogni piccola componente del centrosinistra, può fare la differenza. Considerando sia la dimensione dell’elettorato 5 Stelle a livello nazionale che il consenso del Movimento soprattutto in alcune Regioni, è difficile pensare che che il Pd, per quanto baricentro della coalizione, possa decidere di privilegiare altri e escludere loro. Il vero quesito starà in capo a Conte, Grillo e gli altri dirigenti”, dice il professore.

Si conferma il crollo dell’affluenza: tutte le ragioni dell’astensionismo

Un altro dato inequivocabile è la conferma del preoccupante crollo dell’affluenza alle urne, che in Umbria ha di poco superato il 52% mentre in Emilia-Romagna si è fermato al 46,4%.

Il calo della partecipazione elettorale, peraltro, rende sempre piuttosto complicato leggere i risultati elettorali, sia quando si parla di pesante sconfitta che di schiacciante vittoria. Le ragioni dell’astensionismo sono molteplici e spesso interconnesse: dalla crescente sfiducia alla perdita di percezione del voto come dovere civico, fino alla mancanza di modalità di voto più agevoli, ad esempio in via telematica.

Ma per Vassallo sono due le principali componenti dell’astensionismo. “Una strutturale, cioè circa un 30% dell’elettorato che non vota, in maniera abbastanza stabile nel tempo. Si tratta di elettori che si sentono completamente estranei al circuito della rappresentanza politico-istituzionale, perlopiù persone che sono economicamente in difficoltà o con bassi titoli di studio o che comunque non si identificano con l’asse sinistra-destra e hanno un basso grado di fiducia verso la politica e i partiti”, spiega.

Poi c’è una seconda componente, ovvero “quella di chi vota alle elezioni politiche nazionali e vota nelle circostanze nelle quali percepisce che c’è una posta in palio di cui riconosce il significato e in cui vede a confronto delle cose tra cui scegliere che gli sembrano rilevanti e che però non partecipa in altre occasioni. Come per esempio alle Regionali, alle amministrative o alle europee. Parliamo di circa un 15-20% dell’elettorato, che è cresciuto rapidamente negli ultimi 10 anni”, precisa.

In altre parole, si tratta di cittadini che decidono di volta in volta se recarsi alle urne oppure no. “Sono elettori in un certo senso pragmatici. Non hanno più né un senso di appartenenza forte verso un partito, né la percezione che il voto sia un dovere civico che deve essere esercitato a prescindere, ma vanno a votare quando capiscono che c’è qualcosa in gioco”, conclude.





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