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Incarichi a contratto conferiti a professionisti in precedenza ingaggiati: ipotesi tipica di conflitto di interessi


E’ un caso esemplare e paradigmatico di conflitto di interessi, quello dell’assunzione, mediante incarico a contratto, al vertice di un ufficio di un professionista che abbia svolto in precedenza incarichi professionali per il comune stesso.

La deliberazione Anac 23 ottobre 2024, n. 490 mette il dito in una piaga diffusissima negli enti locali: la mancanza di trasparenza nella selezione dei destinatari di incarichi ai sensi dell’articolo 110, comma 1, alla quale accede molto di frequente proprio la violazione clamorosa e palese di ogni regola volta a scongiurare conflitti di interesse, che, ricordiamo, ai sensi della legge 190/2012 possono essere anche solo potenziali.

E’ ben evidente che laddove un comune instauri con un professionista ripetuti incarichi professionali, che poi sfocino in un’assunzione come dirigente o responsabile di servizio a contratto, il rischio dell’annidamento di interessi non commendevoli sia elevatissimo.

Intanto, occorre tenere presente che nella gran parte dei casi gli incarichi professionali sono conferiti in via diretta, quindi senza alcuna selezione tra professionisti. E, nel caso delle collaborazioni professionali, sebbene l’articolo 7, commi 5-bis e seguenti, del d.lgs 165/2001 preveda una selezione, nei fatti ciò avviene molto di rado.

Un professionista, quindi, selezionato in modo comunque opaco e non concorrenziale, come nel caso analizzato dall’Anac, finisce per beneficiare, in modo ancor meno trasparente, dell’assunzione nella pubblica amministrazione, con un chiarissimo collegamento di continuità tra attività professionale e attività, poi, subordinata. Il tutto a disdoro della necessità di reclutare i dirigenti a contratto in base ad una procedura selettiva, che dovrebbe essere aperta e concorrenziale, ma nei fatti, in circostanze come quelle trattate dall’Anac certo non può esserlo.

Per altro, nel caso di specie, caso e combinazione hanno cospirato, facendo sì che alla procedura “selettiva” per assegnare l’incarico a contratto presentasse domanda solo un candidato, per coincidenza appunto il professionista in argomento.

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I fautori della “managerialità”, dell’ “aziendalismo” e del “merito”, intesi come slogan buoni a nascondere rapporti tra PA e soggetti terzi al di fuori delle regole di trasparenza, imparzialità e buon andamento, poste dalla Costituzione, saranno certamente portati ad affermare che si tratta di eccessiva “burocrazia”, di leggi sbagliate che impediscono alla PA appunto di valorizzare il “merito” di chi abbia potuto conoscere ed apprezzare prima come professionista, tanto da assumerlo stabilmente.

Dato l’attuale assetto dell’ordinamento, però, queste osservazioni sono totalmente prive di pregio. Non solo perchè le selezioni pubbliche debbono garantire la parità di condizioni e la capacità di far cadere la scelta sul candidato che nell’ambito della procedura dimostri le capacità necessarie, in applicazione dei principi discendenti dall’articolo 97 della Costituzione, così come applicati dalle leggi ordinarie. Ma, soprattutto, perchè è la legge “anticorruzione”, la legge 190/2012 a considerare espressamente come disvalore il collegamento diretto tra l’esercizio di attività professionali e l’assunzione come dirigente nella PA.

L’inconferibilità degli incarichi come regolata dall’articolo 20 del d.lgs 30/2013 trova le sue ragioni evidenti in almeno questi elementi:

  1. il rischio che tra professionista incaricato e amministrazione incaricante sia intercorso un accordo volto a garantire al primo un surplus di guadagno, connesso alla promessa di successivi introiti derivanti appunto dall’assunzione in ruoli apicali dell’amministrazione conferente;
  2. il rischio che simili accordi abbiano indotto la PA a scegliere il professionista a detrimento di regole di buon andamento e concorrenza;
  3. il rischio che il professionista, una volta assunto, agisca non nell’interesse pubblico, ma per “sdebitarsi” con chi lo abbia assunto, volgendo le proprie decisioni e modalità gestionali alla salvaguardia di interessi particolari appunto di chi ne abbia assicurato l’assunzione.

C’è, peraltro, da rilevare che nel caso di specie il conflitto di interessi è amplificato (sebbene questo l’Anac non lo noti) dalla circostanza che l’assunzione a contratto è stata effettuata a part time 50%, all’evidente scopo di consentire comunque al professionista di proseguire nella propria attività professionale, con evidente potenziale sacrificio dell’interesse pubblico alla esclusività della prestazione alle dipendenze della PA.

Purtroppo, per un intervento dell’Anac, migliaia di situazioni analoghe si ripetono giorno dopo giorno, in assenza di strumenti di controllo preventivo capaci di impedirle.

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